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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2013 alle ore 13:59.

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Il novantenne storico della scienza Gerald Holton ha più volte scritto che le uniche prove che siamo animali davvero razionali vengono dalla storia della scienza. E ha insistito perché nell'istruzione secondaria si desse più spazio allo studio dell'evoluzione del pensiero scientifico, per infondere ottimismo nei giovani, riguardo alle loro capacità di affrontare il futuro. La storia delle scienze dimostra che i problemi si risolvono usando i fatti e la logica: cioè gli unici strumenti in grado di far progredire la conoscenza e quindi il controllo umano sui processi naturali. Insegna come superare false credenze, pregiudizi e risentimenti: che portano solo danni. E aiuta a cambiare idea, cioè a usare un vero e utile pensiero critico e creativo.
Quale potrebbe essere un'agenda delle principali ricorrenze storico-scientifiche del 2013, considerando una cadenza semisecolare, per riflettere sulla natura formativa della scienza? Proviamo con le scienze della vita, ma iniziamo con la matematica di cui oggi si fa più utilmente uso nelle scienze biomediche. Quest'anno ricorrono 250 anni dalla pubblicazione, postuma, del saggio in cui il reverendo Thomas Bayes insegnava come usare efficacemente e in modo adattativo il ragionamento probabilistico. La storia del cosiddetto teorema di Bayes è un capitolo unico nell'evoluzione del pensiero umano razionale. La statistica bayesiana, sottovalutata fino circa mezzo secolo fa, oggi entra in gioco in tutti i ragionamenti e le decisioni dove si vogliono testare in modo dinamico e adattativo le probabilità a priori delle ipotesi causali. Se i giovani imparassero precocemente la logica probabilistica bayesiana, capendo le differenze e i vantaggi rispetto al l'approccio frequentista, si immunizzerebbero salutarmente contro i ciarlatani che li spaventano quotidianamente paventando minacce e rischi, ed entrerebbero più rapidamente nel l'ordine del modo di pensare scientifico.
Facciamo un salto di un secolo e andiamo nell'Inghilterra vittoriana, dove era ancora forte l'eco per la teoria del cambiamento delle specie per discendenza comune e selezione naturale pubblicata quattro anni prima da Charles Darwin. Nel 1863 erano stati pubblicati due libri fondamentali per il salto di qualità della discussione: Il posto dell'uomo nella natura (Evidence as to Man's Place in Nature) dell'amico di Darwin, Thomas Henry Huxley, e The Antiquity of Man del geologo e anch'egli amico (ma anche maestro) di Darwin, Charles Lyell. Sono due testi esemplari della più importante transizione della mentalità scientifica nell'Ottocento. Perché Lyell, da cui Darwin imparò a ragionare scientificamente sui processi del cambiamento geologico in natura, rappresentava già il passato, ed esprimeva tutta la prudenza di un conservatore scientificamente illuminato di fronte alle implicazioni culturalmente rivoluzionarie della teoria darwiniana per quanto riguardava le origini e la spiegazione della natura umana. Un tema verso cui Huxley esprimeva la formidabile energia di un modo di ragionare innovativo sui meccanismi del cambiamento evolutivo.
La ricorrenza epistemologicamente più importante si collega al 1813 e al 1913. Due secoli fa nasceva il padre della medicina sperimentale, Claude Bernard e un secolo fa il fisiologo e biochimico Lawrance J. Henderson pubblicava The fitness of the environment. Bernard meriterà un ricordo a sé, mentre Henderson aveva da poco spiegato la chimica-fisica degli scambi gassosi mediati dal sangue ed elaborato, ispirandosi proprio al pensiero e al metodo di Claude Bernard un'epistemologica della biologia funzionale (cioè dei principi che governano l'integrazione organizzata dei sistemi fisiologici che consentono la vita e gli adattamento dell'organismo biologico) che sul piano scientifico, ma anche per l'impatto culturale, si può legittimamente paragonare a quella che Darwin aveva elaborato per la biologia evolutiva. In quel libro si inquadrava il carattere teleologico dei processi fisiologici in termini scientifici, senza concessioni al vitalismo e all'antropocentrismo, e tuttavia interrogandosi sulle caratteristiche fisiche e chimiche dell'ambiente rendevano possibile la vita e le forme complesse di comportamento, come sbocco necessario: in questo senso il richiamo a Henderson da parte dei cultori del principio antropico è fuorviante. Abbandonata la biochimica, Henderson nel corso degli anni Venti rilesse la sociologia in Pareto alla luce della logica integrativa dei sistemi fisiologici, creando a Harvard una delle più influenti scuole sociologiche statunitensi di cui fecero parte, tra altri, Talcott Parsons e Robert Merton. Dalle sue idee e dai suoi contributi, sempre ispirati a uno studio quantitativo e sperimentale dei sistemi (non viventi, viventi, sociali, economico produttivi eccetera), vennero i famosi esperimenti di Hawthorne, condotti su 12.000 operai per analizzare come i cambiamenti in senso migliorativo delle condizioni di lavoro influenzavano la produttività.
Purtroppo, negli ultimi decenni, Henderson non è stato quasi più letto dai filosofi della biologia, per i quali esistono solo Darwin e il contesto delle discussioni a cui ha dato luogo il darwinismo. E, regolarmente, le discussioni sull'olismo, cioè sull'approccio sistemico, integrato o non riduzionistico nello studio dei sistemi viventi fanno riferimento a un'epistemologia decisamente più povera di quella sviluppata da Henderson prima ancora che la parola olismo venisse inventata. Tra l'altro da un militare sudafricano razzista. Il 1963 fu un anno importante per la genetica, perché furono scoperti da Barj Benacerraf e Hugh O. McDevitt, i geni che controllano la risposta immunitaria e fu dimostrata da Ed Lewis l'esistenza di geni che controllano la morfologia animale e che diventeranno famosi come geni Hox o omeotici, o anche semplicisticamente "geni architetti". Anche questi sono temi che meriteranno riflessioni dedicate. Sul piano dello sviluppo del ragionamento scientifico per la biologia merita attenzione la pubblicazione di una saggio dell'etologo olandese Nikolaus Tinbergen dal titolo On aims and methods in ethology (Gli obiettivi e i metodi dell'etologia) in cui si elencavano le quattro domande chiave che doveva porsi chi studiava il comportamento: a) quali sono i meccanismi fisiologici o le cause prossime che lo innescano (causation)?; b) quale è il valore di sopravvivenza di quel comportamento, ovvero la sua spiegazione sulla base del valore adattivo testato dalla selezione naturale (function)? c) quali processi di sviluppo lo fanno maturare (ontogeny)?; d) quale è la sua storia evolutiva (phylogeny)?

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