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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2013 alle ore 18:03.

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Massimo Castri (Fotogramma)Massimo Castri (Fotogramma)

Avrebbe compiuto settant'anni il prossimo 25 maggio Massimo Castri, una delle figure più importanti del teatro italiano dal dopoguerra a oggi, scomparso questa mattina nella sua casa di Firenze.

Il suo nome, è senz'altro tra quelli che in Italia hanno dato al termine "regista" una valenza particolare, non soltanto per le sue raffinate costruzioni spettacolari, ma soprattutto per la capacità di lavorare con gli attori portandoli all'interno di un ben preciso disegno e al centro della sua idea di teatro, e per un rapporto profondamente analitico con i testi che decideva di mettere in scena. Già perché Castri, ha sempre affrontato gli autori e le opere che lo incuriosivano con la voglia di scoprine le profondità più nascoste, di cercare qualcosa in più, portando alla luce elementi e segni inconsueti, divenendo uno degli esempi migliori di quello che viene definito (grazie anche al suo lavoro) "regista critico", colui, cioè, che parte da un attento scandaglio letterario dell'opera per esprimere in scena le idee e i pensieri che ne sono scaturiti. Per questo i suoi spettacoli, sempre affidati a cast di giovani attori, affiancati da interpreti più noti, ma tutti formidabili, si trasformavano in vere e proprie avventure dell'intelletto, nelle quali lo spettatore si trovava affascinato e ammaliato, spesso sorpreso dal coraggio di una lettura legittima ma inedita data a un particolare copione. E tutto questo grazie anche a una ben precisa dimensione scenografica che di quella lettura diveniva spazio necessario e inequivocabile, affidata al suo storico collaboratore Maurizio Balò.

Si pensi alla sua Trilogia della villeggiatura di Goldoni, tra il '95 e il '96, dove i vezzi dei borghesi desiderosi di concedersi vacanze simili a quelle della nobiltà mostravano, per la prima volta, un lato cupo e preromantico, tra amori incompiuti e fallimenti interiori, con uno sguardo particolare ai rapporti tra padri e figli. Un tema, questo, che ha sempre affascinato Castri, e che lo aveva portato qualche anno prima ad allestire un altro ciclo di spettacoli straordinari con le tragedie classiche Oreste, Elettra e Ifigenia in Tauride e che lo spingerà ad affrontare nel 1998 un testo difficile e crudo come Orgia di Pasolini. Mentre nelle messe in scena degli inizi e degli anni Settanta la sua curiosità lo spingeva spesso a indagare su drammaturghi e opere note, sempre con il desiderio di portare nuova luce, e lo farà con Pirandello, o con Ibsen in un'Hedda Gabler dell'80, avvicinandosi invece, negli ultimi anni alla drammaturgia dell'assurdo col Beckett di Finale di Partita nel 2010 e con la sua ultima regia, La cantatrice calva, di Jonesco, lo scorso anno.

Molti i prestigiosi incarichi ricoperti dal regista e le istituzioni con cui ha lavorato, dall'attività degli inizi al Teatro la Loggetta di Brescia (oggi Centro Teatrale Bresciano), alle collaborazioni con Emilia Romagna Teatro, con lo Stabile dell'Umbria per passare poi alla direzione dello Stabile di Prato, di quello di Torino e per ricoprire nel 2004 il prestigioso incarico di direttore della Biennale di Venezia. Cresce, in queste ore in cui si sta diffondendo la notizia, il cordoglio di tutti coloro che avevano lavorato con lui e di tanto pubblico che ricorda le sue memorabili operazioni sceniche.

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