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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2013 alle ore 08:18.

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In questo articolo ci si interroga sul modo in cui i giovani filosofi italiani si collocano rispetto alle tradizioni prevalenti nel nostro Paese. Questa domanda ha due risposte. Una più specifica è presentata nell'articolo; l'altra, più generale, è sconsolante. Molti dei giovani filosofi, infatti, non si collocano proprio da nessuna parte perché – al pari dei loro colleghi degli altri ambiti scientifici – non riescono a trovare alcuna sistemazione nel nostro mondo accademico. Cause principali di ciò sono le recenti riforme universitarie e i tagli finanziari, per esempio quelli assestati in extremis dall'attuale governo (e ci sarebbe da domandarsi quali maggiori danni avrebbe potuto subire la ricerca italiana se il governo non fosse stato "di professori"). Il risultato è che oggi molti dei nostri migliori giovani filosofi sono costretti ad abbandonare del tutto il mondo della ricerca oppure a cercare fortuna in Paesi che hanno maggiore rispetto per la cultura e l'istruzione. Nel IV canto dell'Inferno, Dante narra di come, vagolando per il Limbo, si imbatta nella «filosofica famiglia» – ovvero nella comunità dei grandi filosofi dell'antichità – e di come la trovi unita e concorde, al punto che tutti riconoscono il primato del «maestro di color che sanno», ovvero Aristotele («tutti lo miran, tutti onor li fanno»: anche Socrate e Platone!). Ma se nel Limbo i filosofi procedono in somma concordia, nell'orbe terracqueo, si sa, le cose sono un po' più complicate. Se prendiamo per esempio l'odierna filosofia italiana, ci accorgiamo subito che di filosofiche famiglie ce ne sono almeno tre.
La prima è la famiglia degli storici della filosofia, i quali studiano i pensatori del passato nello stesso modo in cui gli storici della letteratura si dedicano agli scrittori e gli storici dell'arte a pittori e scultori. Questa famiglia è stata a lungo dominante nella filosofia italiana, producendo studiosi di grande rilievo da Garin a Abbagnano a Paolo Rossi. La seconda famiglia è quella dei continentali, che sono ispirati dalla recente filosofia francese e tedesca, ma hanno anche elaborato proposte originali, come il pensiero debole e le concezioni filosofico-politiche di cui parla Roberto Esposito nel suo recente Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana (Einaudi, Torino, pagg. 266, € 20,00). La terza famiglia, quella di più recente formazione, è composta dai filosofi analitici ovvero da quanti, sulle tracce di Frege, Russell e Quine, hanno fatto della chiarezza e del rigore argomentativo i loro ideali metodologici. Vent'anni fa, in Italia di filosofi analitici ce n'erano ben pochi: ma quei pochi hanno dato l'avvio a un movimento che con il tempo si è notevolmente ampliato e rafforzato, al punto che ormai la filosofia analitica italiana non sfigura nemmeno di fronte a quella dei Paesi anglosassoni.
Ognuna di queste tre famiglie filosofiche genera ovviamente i propri giovani studiosi. Ora un volume appena uscito per Carocci, a cura di Tiziana Andina, offre l'occasione per guardare al lavoro di alcuni tra i migliori tra di loro. Il titolo, Filosofia contemporanea. Uno sguardo globale, dà l'idea dell'ambizione di quest'opera: l'idea, in sostanza, è di fornire uno strumento utile a chiunque sia interessato alle discussioni filosofiche contemporanee, offrendo un primo orientamento in un gran numero di dibattiti assai vivi, ma anche molto complessi. Il taglio del volume è prettamente teoretico e la letteratura esaminata è prevalentemente di matrice analitica. Un'eccezione è rappresentata capitolo dedicato (da Ottonelli e Testa) alla filosofia politica, in cui, oltre ai classici analitici, da Rawls a Nagel, vengono opportunamente discussi anche filosofi continentali come Habermas o Honneth. E non poteva che essere così, perché in filosofia politica la divisione tra analitici e continentali è molto meno rigida che in altri ambiti.
Questo volume è molto utile, in primo luogo perché – come nota Maurizio Ferraris nella sua prefazione – esso mostra con chiarezza come la filosofia sia ben lungi dall'esser morta, cosa che si è sentita ripetere per un po' di anni, quasi si trattasse di un fatto ovvio. In realtà non solo la filosofia è viva, ma è anche in ottima forma, come questo volume mostra perfettamente. Per accertarsene basta leggere le succinte ma molto chiare presentazioni dei dibattiti contemporanee relativi a temi di grande interesse e complessità come lo scetticismo epistemologico (Amoretti e Coliva), l'uso delle nozioni causali in biologia e in fisica (Casetta e Torrengo), la teoria dei mondi possibili (Berto e Pedeferei), le semantiche cognitive (Barbero e Caputo) e la rigorizzazione delle categorie ontologiche (Andina e Borghini). Oppure si può guardare alle utili mappe concettuali che delineano le nuove frontiere dell'estetica (Arbo e Cappelletto), dell'etica (De Vecchi, Magni e Tripodi) e della filosofia della mente (Angelone e Tagliafico). Si tratta in molti casi di temi o aree che appartengono evidentemente alla tradizione filosofica: ma è sorprendente verificare quanti progressi concettuali siano stati compiuti negli ultimi decenni, e immaginare quanti ancora se ne compiranno – con buona pace di quelli che sostengono che seppure la filosofia non è morta, almeno è imbalsamata perché, a differenza delle scienze, costitutivamente non può progredire.
Il livello di questo volume è all'altezza degli analoghi companion anglosassoni: e non era un obiettivo facile da raggiungere. I saggi infatti sono informati, ben scritti e coprono gli aspetti essenziali delle discussioni. Inoltre tra gli autori, tutti ormai noti, ce ne sono alcuni che hanno già offerto contributi di grande prestigio internazionale (Annalisa Coliva ha per esempio pubblicato nel Journal of Philosophy e Francesco Berto nella Stanford Encyclopedia of Philosophy). Ben sette tra gli autori di questo volume, però, non hanno ancora trovato una stabile collocazione accademica e altri due sono dovuti emigrare all'estero (Berto in Scozia e Andrea Borghini negli Stati Uniti). Quanto ai fortunati che hanno trovato un posto in Italia, in genere sono stati assunti in pianta stabile ben oltre i trent'anni, se non verso i quaranta – ovvero in età in cui nelle buone università estere si è ormai considerati senior professors.

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