Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2013 alle ore 08:20.

My24

Ralf Dahrendorf ha scritto: «in anni recenti è accaduto l'insolito, e der Geist weht rechts, menti creative hanno sposato cause di destra. Ma detto questo, restano molti per i quali la scomparsa del socialismo significa che si è spalancato un abisso, un gran vuoto emotivamente e intellettualmente conturbante». Con la consueta lucidità, il grande sociologo tedesco segnala il tratto politico saliente del crepuscolo del Novecento. La sinistra ha smarrito la propria capacità di esprimere istanze radicali e innovative, e assiste con sgomento al consolidarsi di una nuova egemonia culturale, nata dalle frange estreme del conservatorismo britannico e statunitense. La dissoluzione del blocco sovietico non disorienta solo i comunisti. Anche il socialismo riformista ne subisce il contraccolpo. Per Dahrendorf la prognosi non può che essere infausta: con il comunismo è morto anche il socialismo democratico. Certo le cause del decesso sono diverse. Se il comunismo è crollato perché è fallito nella soddisfazione dei bisogni di libertà e benessere della maggioranza dei cittadini, la socialdemocrazia si è consumata avendo mantenuto la propria promessa di migliorarne le condizioni di vita. Tuttavia, questa differenza, niente affatto secondaria, non muta i termini della questione. La sinistra, tutta la sinistra, sia riformista sia rivoluzionaria, non è più capace di indicare la strada. Nei paesi occidentali una larga maggioranza ha visto a portata di mano la realizzazione delle proprie aspirazioni individuali nel quadro delle condizioni esistenti. Una volta che i poveri cessino di essere maggioranza – scriveva negli stessi anni Thomas Nagel – la democrazia è nemica dell'eguaglianza comprensiva: «gli interessi della maggioranza di solito non coincidono con gli interessi di tutti, imparzialmente soppesati, e certamente non coincidono con l'idea di eguaglianza».
C'è chi sostiene che la crisi della sinistra sia un aspetto del mutamento delle coordinate che per più di due secoli hanno orientato il discorso politico democratico. Per chi la pensa così, la polarità stessa tra destra e sinistra va superata. Contro questa tesi si sono levate diverse voci dissenzienti. Da ricordare quella di Norberto Bobbio. L'ipotesi di Bobbio tuttavia era affetta da una debolezza che ne minava la forza. Fare di destra e sinistra una dicotomia – la destra come parte della libertà, la sinistra come quella del l'eguaglianza – è vulnerabile a troppi contro-esempi per essere persuasiva. Una diversa risposta viene oggi proposta da Carlo Galli, che ricostruisce le diverse – e non sempre coerenti – interpretazioni della sinistra nel lessico politico dell'Occidente. Filosofia, storia delle idee e cronaca si integrano in un libro che ha il pregio di avere una tesi. Per Galli la sinistra può ritrovare la propria identità nel lavoro, se riesce a farne qualcosa che non ha più carattere di classe, ma assume un rilievo potenzialmente universale in quanto chi lavora è parte passiva in una relazione di cui subisce le condizioni. Un'idea che sarebbe piaciuta a liberali di sinistra come T.H. Green e L.T. Hobhouse. Galli ha scritto un libro che apre una discussione più che coltivare la memoria, e ci sarebbe da discutere su certi aspetti della genealogia della sinistra che propone. Colpisce, ad esempio, che una discussione tra Cacciari e Tronti riceva più attenzione del dibattito sulle teorie della giustizia. Oppure che la teoria economica sia seguita da una certa distanza quando è chiaramente rilevante per la tesi dell'autore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Carlo Galli, Sinistra. Per il lavoro, per la democrazia, Mondadori, Milano, pagg. 166, € 17,50

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi