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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2013 alle ore 17:41.

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Il cornettista, compositore e direttore Lawrence Morris, Butch per la musica, è morto il 29 gennaio in un ospedale di New York. Stava per compiere 66 anni, essendo nato a Los Angeles il 10 febbraio 1947. Vantava un percorso artistico di primo piano, peraltro seguito e ammirato soltanto dai cultori del jazz e della musica contemporanea più esigenti. Infatti, pur avendo intrapreso gli studi musicali a 14 anni, cioè con notevole ritardo, Morris aveva frequentato fin dal principio gli ambienti dell'avanguardia, suonando e componendo partiture di non facile fruizione. E' stato trascurato soprattutto fuori dagli Stati Uniti, dove ci sono enciclopedie e opere storiche nelle quali il suo nome non è nemmeno citato. In patria, i maggiori quotidiani gli dedicano in questi giorni articoli accorati e laudativi che senz'altro merita, ma per il pubblico italiano il suo itinerario deve essere ricostruito quanto meno nelle linee fondamentali.

Lo studio della cornetta gli riesce facile. Fa rapidi progressi e viene presto accettato, in California, da musicisti di alto livello quali Horace Tapscott, Frank Lowe, George Morrow, Don Moye, Arthur Blyte e John Carter. Nel 1975 si trasferisce a New York dove si accosta agli esponenti più attivi della cosiddetta «loft generation», vale a dire a Charles Tyler, Hamiet Bluiett, Stanley Crouch e in particolare al sassofonista David Murray. Soggiorna poi a Parigi per un paio d'anni. Qui tiene concerti con Alan Silva e Frank Wright e incide con Jeff Gilson e Steve Lacy. Rientrato in patria, lavora sempre di più con Murray e si dedica in prevalenza alla composizione e alla direzione anche di gruppi propri. Fra i due musicisti si stringe un sodalizio insolito: le varie formazioni di Murray continuano a essere intestate al sassofonista, ma la direzione viene spesso affidata a Morris che lentamente elabora un originale concetto di «conducted improvisation» (sinteticamente: conduction) che in italiano si può definire «improvvisazione guidata». Il direttore, cioè, può ri-orchestrare la musica (scritta o improvvisata) durante le fasi dell'esecuzione.

Diceva Morris: «Fin dagli anni settanta, quando ho cominciato a comporre, ho sentito l'esigenza di modificare la musica mentre veniva eseguita. E malgrado gli ammonimenti in contrario dei miei insegnanti ho deciso di tentare. In fondo si trattava della mia musica, l'aveva scritta io. Il problema era trovare le persone disposte ad accettare una simile procedura, ma a conti fatti non è stato difficile. E' bello, anzi, collaborare con musicisti di Paesi diversi, di jazz e accademici, in modo da ottenere reazioni sempre differenti ai miei gesti e sempre nuove».

A sentire Morris, la procedura sembrava addirittura semplice: «Adottando un vocabolario di segni e di gesti, molti dei quali sono in uso nella direzione d'orchestra occidentale, il direttore può avviare o alterare il ritmo, la melodia o l'armonia all'interno della struttura fissata; e può anche produrre un mutamento immediato nell'articolazione, nel fraseggio e nella metrica. E' un metodo, in fondo, che si riallaccia agli antichi "head arrangements" del jazz, gli arrangiamenti mandati a memoria che si arricchivano continuamente di apporti personali. Il vocabolario viene reso noto ai musicisti durante le prove. E' questo il momento fondamentale. Fra loro, oltre agli strumenti a fiato tipici del jazz, ci possono essere violini, violoncelli, contrabbassi e altri ancora, gli uni vicini agli altri».

Morris entrava in scena vestito di una tunica nera (raramente bianca) e brandiva una bacchetta bianchissima (il jazz di regola non la usa) più lunga del normale, in modo da facilitare ai musicisti, quasi sempre privi di spartiti, la visione e la comprensione dei suoi gesti rapidi e improvvisi, imperiosi e affascinanti. Gli errori erano rari e gli esiti stupendi. Ed era grande e continua la tensione che il pubblico percepiva osservando gli sguardi degli orchestrali, concentrati nelle fasi d'assieme sulle mani del direttore in modo quasi spasmodico.

Pochi sono, fra il 1978 e il 1995, i dischi a nome di Morris, fino a quando la New World Records, grazie a due cospicue sponsorizzazioni americane, gli lancia sul mercato «Testament», un box di dieci cd con allegato un libretto prezioso. I cd contengono 16 Conduction scelte con cura dal compositore-direttore. Dopo, però, la situazione discografica torna a non essere favorevole. Basti dire che «Verona», un album doppio di NuBop Records inciso dal vivo nel 1994 e nel 1995 nel Teatro Romano della città veneta (Conduction n.43 e n.46) compare nel 2011.

In Italia, chi ha creduto di più all'arte di Lawrence Morris è stato Basilio Sulis, patron del festival agostano di Sant'Anna Arresi nell'estremo sud della Sardegna, che ha ospitato nel 2007 la sua Nublu Orchestra e dal 2008 al 2010 le formazioni di Conduction, l'ultima delle quali colma di musicisti straordinari. Adesso Sulis vuole produrre, in collaborazione con NuBop Records, i cd delle registrazioni dal vivo. Saranno particolarmente importanti perché i suoni di Morris erano anche e adesso non si vedranno più.

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