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Questo articolo è stato pubblicato il 07 febbraio 2013 alle ore 19:34.

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BERLINO - Con aria scherzosa e occhiali scuri, Wong Kar-wai si è presentato due volte alla stampa accorsa per l'inaugurazione della 63esima edizione del festival del cinema di Berlino, fino al 17 febbraio nella capitale tedesca. Sì, perché il regista di "In The mood for love", ha una doppia veste alla Berlinale: è presidente della giuria internazionale del concorso - che, tra i giurati annovera la regista premio Oscar Susanne Bier, l'artista iraniana Shirin Neshat e l'attore, regista Tim Robbins -, ma è anche l'autore del film che inaugura la kermesse, "The Grandmaster". Accompagnato da Tony Leung e Zhang Ziyi, protagonisti della pellicola, ha giocato con la stampa, che per altro gli ha rivolto domande piuttosto facili. Il film, proiettato alla serata di gala, aveva lasciato piuttosto tiepida la critica poco prima.

The grandmaster è un omaggio a Ip Man, maestro di Kung fu e leggendaria guida di Bruce Lee, che rese popolare quest'arte marziale e anche un affresco della Storia cinese dagli anni Trenta ai Sessanta, in un momento di turbolenza politica, cui fece seguito l'invasione giapponese. In questo scenario si fronteggiano Ip Man e Er, figlia del Maestro Gong, rivali in arti marziali, ma legati sotterraneamente da un sentimento amoroso che rimarrà sempre platonico. Un duello che si svolge con lealtà a distanza di anni, nel rispetto delle regole, cui si inserisce il malvagio e abilissimo guerriero, chiamato Ma San (Zhang Jin), che durante il dominio giapponese diventa un potentato.

In un clima da "Blade runner", con la pioggia sempre incombente, in un'atmosfera quasi gangsteriana (vi è, nella colonna sonora, il tema di "C'era una volta in America" di Morricone), si svolgono duelli onirici e di grande impatto visivo, che sono costati quattro anni di allenamento agli interpreti. Il progetto del film nel complesso è durato sei anni, tre ce ne sono voluti per le riprese.

«Non sono un esperto di arti marziali – ha spiegato il regista cinese – ma spero che questo film doni una nuova prospettiva su questa disciplina e sul mio Paese. Il Kung fu non è solo uno sport o un allenamento fisico, ma è soprattutto una filosofia di vita».

E tornando sulla figura di Ip Man, Wong Kar-wai ha ricordato: «Tutti conoscono Bruce Lee, ma nessuno ricorda Ip Man, il suo mentore, che è stato un uomo umile, morto in solitudine e povertà. Molti possono essere virtuosi nelle arti marziali, ma pochissimi possono essere chiamati maestri, perché un maestro deve rispettare un codice d'onore e trasferire con generosità il suo sapere alle nuove e generazioni».

Durissima la disciplina a cui si sono dovuti sottoporre Tony Leung e Zhang Ziyi. Tony Leung ha voluto però concludere con una battuta: «È stata l'esperienza migliore che ho fatto con Wong Kar-wai, perché finalmente ho capito da subito che parte facevo. Negli altri casi solo lui aveva la sceneggiatura e noi vagavamo nel buio, in preda alle sue decisioni».

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