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Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2013 alle ore 17:14.

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Jessica Chastain nel film "Zero Dark Thirty"Jessica Chastain nel film "Zero Dark Thirty"

Se il 2013 non è iniziato con il turbo per quanto riguarda gli incassi al botteghino (anzi: - 23% rispetto al gennaio 2011, - 47% rispetto allo stesso mese del 2012), di sicuro lo ha fatto, però, per la qualità dei film in sala, decisamente alta, complice l'Oscar imminente. E una sfida da Academy è quella di questi giorni, tra Kathryn Bigelow e Behn Zeitlin, tra la cineasta esperta e pluripremiata e il regista alla sua opera prima, entrambi celebrati per due film di altissimo livello, diversi per toni e contenuti ma entrambi lucidi e potenti nell'evidenziare le contraddizioni degli Stati Uniti.

Re della terra selvaggia è forse il film più sorprendente, originale e creativo degli ultimi anni, la dimostrazione di come ancora, anche nel cinema odierno drogato dalla tecnologia e assuefatto alla reiterazione dei modelli commercialmente più convenienti, si possa trovare una strada nuova per raccontare una storia. Il merito è di un regista umile e caparbio, pieno di talento e intuito, che con meno di due milioni di dollari e la scoperta eccezionale della piccola attrice Quvenzhané Wallis – 9 anni, la più giovane candidata agli Oscar che terrà testa a Emmanuelle Riva di Amour, la più anziana – ci ha regalato un piccolo grande capolavoro.

La storia di una bambina, una sorta di Mowgli in una giungla di baracche e attorniata da un'acqua generosa e pericolosa, che ti dà e ti toglie la vita. Un'eroina nella Louisiana che impara a sopravvivere al suo Bathtub, regione immaginaria dal nome buffo (la traduzione, infatti, è "vasca da bagno"), non come dominatrice della natura, in quanto umana, ma come anello di un ecosistema aggressivo, come fosse un piccolo animaletto. E così Zeitlin veicola messaggi politici, ambientalisti, sentimentali in una fiaba dalla forza narrativa e immaginifica straordinaria, regalandoci una parabola sul nostro mondo tutto e allo stesso tempo indagando uno dei misteri più grandi e preziosi, quello del rapporto tra padre e figlia. A questo si aggiunga il talento del cineasta, sia nell'uso degli effetti speciali vecchia maniera (i mostri della favola sono veri maialini vietnamiti "modificati") sia nella delicatezza di narratore e visionario che mette in ogni scena, in ogni sguardo, in ogni dialogo.

Di sicuro, invece, non è una favola ma la durissima realtà Zero Dark Thirty. Dopo aver vinto una manciata di Oscar con The Hurt Locker, Kathryn Bigelow continua a indagare le ombre post 11 settembre. Se allora andava in Iraq tra i soldati delegati al disinnescare bombe o a evitare che arrivassero a obiettivi sensibili, lasciandoti con la scomoda sensazione di capire la loro "follia", qui ci porta nella testa, nel cuore (di ghiaccio bollente) e nel corpo di Jessica Chastain. Un fenomeno della recitazione che qui si dedica alla grande persecutrice di Bin Laden con abnegazione e bravura, dando umanità a chi vi ha rinunciato per un obiettivo più importante. E Kathryn, con il compagno (ex?) Mark Boal in scrittura, non ci risparmia niente: i fallimenti, il cinismo di chi rinuncia a dieci anni della propria vita per catturare il più temuto ricercato del mondo, e tanto meno la tortura per ottenere informazioni su di lui. Il suo realismo è stato scambiato per propaganda: lei, invece, ci mostra solo cos'è la guerra oggi. Un affare ancora più sporco che in passato. Da applausi tutta l'opera, con un cenno a Jason Clarke, da sempre nelle retrovie e qui notevolissimo.

Un superclassico hard boiled, invece, è Broken City. Coprodotto da Mark Wahlberg, che ne è anche il protagonista, diretto da Allen Hughes, è un noir come avremmo potuto vederne decenni fa. Ed è un complimento: pur nella sua prevedibilità, la storia del poliziotto prima vendicatore e poi vittima di un complotto politico è di sicuro qualcosa di già visto e scritto, ma se messo in mano a un buon mestierante della macchina da presa ad un ottimo cast (tra gli altri ci sono anche Russel Crowe, sindaco corrotto e grande comunicatore, e Catherina Zeta-Jones, splendida first lady con ambizioni da eroina), porta comunque a casa un buon risultato. E questo è il caso di Broken City che si concede un paio di ingenuità, si gode un Wahlberg sempre ottimamente uguale a se stesso e un cinema indipendente – girato in appena 40 giorni! - che sa convogliare su di sé grandi nomi che decidono di dare qualcosa in più. Un buon film di genere che agli appassionati non deve sfuggire.

Chiudiamo con la delusione della settimana, Studio illegale. Non sarà certo colpa di Fabio Volo se la fetta di mercato del cinema italiano rispetto ai primi mesi dello scorso anno è calata dal 48% al 34%, ma di sicuro continuando così, il crollo sarà ancora più fragoroso. Si fa fatica a capire ancora cosa trovino nel personaggio e nell'attore Fabio Volo produttori, registi e pubblico. Forse l'essere una sorta di Alberto Sordi senza carisma, fotografia dell'aurea mediocrità dell'italiano medio che ce l'ha fatta più per furbizia che per talento. E gli va riconosciuto che è il primo a saperlo: con sorriso istrione dice spesso di saper fare tante cose, ma nessuna bene. Autoironia o falsa modestia che sia, ha ragione da vendere. E Studio illegale, che pure è diretto dal bravo Umberto Carteni che ci aveva regalato il gustoso Diverso da chi, non fa eccezione: è una noiosa e scontata storia sentimentale tra una bellissima e insopportabile avvocatessa francese (Zoe Felix) e un azzecagarbugli d'alto bordo brianzolo (Fabio Volo), vissuta tra Milano, Gallarate, Dubai e Pinerolo. Al di là della scrittura piatta e prevedibile – Bruni non sembra particolarmente in forma e il giovane Covelli non sembra aiutarlo più di tanto - il Volo-pensiero invade tutto anche se non siamo dentro un suo libro, come invece capitato ne Il giorno in più. Il suo personaggio finto cinico che diventa sdolcinato, lo stereotipo applicato a ogni relazione professionale e personale, la visione bidimensionale del mondo, il maschilismo mascherato, ci sono anche qui, pur essendo il tutto tratto dal romanzo omonimo di Federico Baccomo. Volo ci prova a maturare, in tv, nei libri e al cinema: ma sembra più forte di lui rimanere uguale a se stesso. E ha ragione: in fondo se ha un successo smisurato già così, perché mai dovrebbe impegnarsi? Non lo salvano Nicola Nocella, sempre più bravo, qui nella parte dell'avvocato agnellino che diventa iena, e il "solito" Ennio Fantastichini. Entrambi eccellenti nei loro personaggi, ma troppo emarginati dal film per salvarlo.

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