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Questo articolo è stato pubblicato il 10 febbraio 2013 alle ore 15:35.

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Non c'è uno straccio di verità in questa l'Avana del passato, capitale incantata. Eppure Cuba, isola che non c'è di Guillermo Cabrera Infante, mai ci è apparsa così vera come dopo aver letto La ninfa incostante dello scrittore tra i meno celebrati della prolifica corrente dei latinoamericani. Cabrera Infante è sopravvissuto alla "quarantena" di una classe intellettuale che lo ha messo al bando per via della sua opposizione al regime castrista, come rammenta il bel saggio di Mario Vargas Llosa pubblicato a postfazione.

Vera perché essa prende corpo e sembianze solo nella dimensione della scrittura e nel regno della parola. E' l'ideale fondale di scena del "c'era una volta" di chi narra fiabe o, come suggerisce lo stesso autore, il set della fiction, l'espediente narrativo per raccontarci fati e destini.
Non a caso il protagonista assume le sembianze di un giornalista critico cinematografico che incrocia, in un principio d'estate, un soave batterio che si impossessa della sua vita. Proprio come nei film, il breve tempo di una sola, luminosa stagione "sospende il tempo dell'esistenza". Quella dolce infezione si chiama Estela Morris, Estelita, incontrata in una sera di giugno del 1957 sulla Calle 23. Estelita non ha nemmeno 16 anni, una farfalla appena uscita dalla sua crisalide, i cui capelli sono le ali che si muovono orizzontalmente come se volessero posarsi e non avessero tempo.

Con quel biondo bagliore il nostro cronista inizia una lunga peregrinazione tra le vie, i ritrovi, i bar, i club, gli hotel della città. Ci racconta non una, ma mille Estela che si celano in quel corpo minuto: la ragazzina ingenua, fatua, persino volgare e nel contempo la matura incantatrice, la seducente donna che illumina le notti della capitale cubana. Ci narra una relazione tropicale, come i giorni e le notti da quelle parti che iniziano e finiscono in modo brusco, definitivo, repentino. "L'Avana - confessa il nostro io narrante - è una città dove si ricomincia sempre".

La ninfa incostante è una storia che non ha presente, non ha futuro, ma solo passato. Una fuga vacui, non sapendo da chi e da che cosa: "Prendiamo questa strada - le proposi- no, meglio quest'altra. Pensandoci bene, meglio l'altra ancora. Andava a finire che non ne prendevamo nessuna. Era il piano di fuga ideale".

Estela è stordita, confusa, sovente irritata dalla prosa del critico-amante, impastata di continue e ossessive citazioni letterarie, di fuochi d'artificio verbali, "una prosa esibizionista, lussuosa, invadente che non può raccontare nulla senza raccontare, al contempo, se stessa, frapponendo ogni volta le proprie alterazioni e capriole, le proprie sconcertanti trovate" chiosa con mirabile sintesi Vargas Llosa.

Infante è come la sua Estela, un incantatore che seduce i lettori che si lasciano volentieri attrarre dalla parola alla quale sono asserviti le persone, gli oggetti, i fatti e non viceversa. Non solo il dialogo è una sequenza di scoppiettii continui, ma anche laddove lascia il posto alla descrizione trova il modo di costruire un castello fantastico, incantato: si legga la descrizione del Trotcha, il teatro trasformato in un elegante hotel.
Perciò vale la pena leggere le traversie del nostro protagonista, l'alter ego di Infante, un esteta che si rifugia nella letteratura per chiedere asilo nella sua chiesa laica, il giornalismo. Proprio ai cronisti della carta (e ora dell'etere) Infante dedica una splendida battuta (se è una citazione saremmo grati di conoscere la fonte): "Nessuno più d'un giornalista è capace di usare parole lunghe al servizio di idee corte".

L'umorismo che Infante usa in gran copia non è tuttavia un puro gioco di spirito, ma un modo di leggere il mondo che ci circonda, mandando a quel paese le nostre certezze, come dimostra Estela che invano cerca di indurlo alla ragione. Di pagina in pagina, lo implora: "Sii serio, non ti capisco, cha razza di nome è, hai una mente fantasiosa, mi mortifichi con il tuo vocabolario" e via ammonendo.

Perciò tentare un abbozzo di trama che vada oltre il cenno iniziale, ci parrebbe un torto postumo a Guillermo Cabrera Infante. Per chi ama la parola, meglio abbandonarsi agli effetti speciali della sua prosa incantatrice.

Guillermo Cabrera Infante
La ninfa incostante
267 pagine, 15 euro
SUR editore

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