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Questo articolo è stato pubblicato il 10 febbraio 2013 alle ore 15:34.

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Cantante, attore di rivista, di prosa e di cinema, regista e padre. Tutto questa era Vittorio De Sica, "il nostro primo divo moderno, comparabile alle stelle del firmamento cinematografico internazionale, a Gary Cooper, Maurice Chevalier e Hans Albers", così lo definisce Gian Luca Farinelli, direttore della Fondazione Cineteca di Bologna e curatore della mostra Tutti De Sica, allestita al Museo dell'Ara Pacis di Roma fino al 28 aprile.

Oltre venti manifesti originali, 400 fotografie che lo ritraggono sul set, fuori dal set, sul palcoscenico, a fianco dei figli Manuel, Christian ed Emi, alle due mogli Giuditta Rissone e Maria Mercader, a fianco del solidale braccio destro Cesare Zavattini, con il quale per trent'anni strinse uno dei sodalizi più felici del cinema italiano. "Eravamo diversi per geografia, carattere, formazione culturale, atteggiamento verso la vita e la società, eppure ci siamo intesi", scrisse lo sceneggiatore il giorno della morte del "suo" regista. Della loro intesa professionale ne parla una delle dodici sezioni della mostra.

E non mancano lettere private, oggetti vari (anche la bicicletta di "Ladri di biciclette"), abiti indossati sul set, copertine di riviste, ritagli di giornali e video proiezioni sparsi lungo il percorso espositivo e multimediale.
Un percorso che procede cronologicamente, attraverso le varie fasi della carriera multistrato del maestro che deve il lancio nel mondo dello spettacolo alla sua voce. Ebbene sì, le incisioni discografiche gli aprirono le porte della popolarità, basti citare "Parlami d'amore, Mariù", una canzone che lo "tormentò" per tutta la vita. Ma fu anche Mario Mattoli con la sua impresa di spettacolo Za Bum a portarlo alla ribalta con il varietà di rivista.

Fu grazie a questi spettacoli che Mario Camerini conobbe De Sica e lo spogliò degli abiti teatrali, del frac elegante, per mettergli le vesti di autista in "Gli uomini, che mascalzoni…" (1932). Tra i due nacque un buon rapporto professionale che li portò a firmare cinque film negli anni Trenta e altri tre tra il 1955 e il 1971.
Gli anni Quaranta segnarono l'esordio dietro la macchina da presa di De Sica, "Teresa Venerdì" fu uno dei suoi primi film. Sono esposte le foto dei provini per il ruolo delle trovatelle dell'orfanotrofio. Il neo regista si rivelò anche un talent scout, scovò volti nuovi come quelli di Carla Del Poggio e Adriana Benetti che aveva "un'aria casereccia", un preludio al Neorealismo prossimo venturo, si diceva. Carlo Lizzani definisce questi lungometraggi "segnali nel buio nel cinema di quegli anni".

Poi arrivò il De Sica neorealista de "I bambini ci guardano" (1943), di "Sciuscià" (1946), di "Ladri di biciclette" (1948) per cui vinse l'Oscar (esposto) come miglior film straniero, di "Miracolo a Milano" (1950) e "Umberto D." (1952). Fu vedendo "Sciuscià" che Orson Welles rivelò: "De Sica è il cineasta che preferisco. Ah! ‘Sciuscià' è il miglior film che abbia mai visto".
Le foto in bianco e nero non si contano, inondano le pareti del museo, mentre proiezioni video di scene tratte dai film affiancano i poster dai colori vivaci. E particolarmente colorata è la sezione dedicata a Sophia Loren e al sodalizio con il regista/attore che fruttò un buon successo al botteghino, pensiamo a "L'oro di Napoli" (1954), a "Ieri oggi e domani" (1963), alla "Ciociara" (1960) e a "Matrimonio all'Italia" (1964).

De Sica fu colui che, più di altri, riuscì a mostrare la duttilità della Loren. E poi c'è il ritorno del De Sica attore in numerosissimi commedie leggere. Chi si dimentica il maresciallo Carotenuto in "Pane amore e fantasia?" Il suo abito lo troverete allestito tra i vari oggetti, ci sono anche una borsa ventiquattrore e due libretti che certificano il matrimonio di De Sica con le mogli. Un ricordo speciale lo merita "Il generale Della Rovere" (1959) firmato da Roberto Rossellini.

Tutti De Sica
Museo dell'Ara Pacis, Roma
Dall'8 febbraio al 28 aprile
A cura di Gian Luca Farinelli
www.arapacis.it

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