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Questo articolo è stato pubblicato il 10 febbraio 2013 alle ore 08:19.

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Dimostrando ancora una volta che il buon teatro, quello che davvero cerca di comunicare al pubblico qualcosa di attuale e di importante, sempre più spesso non viene dalle grandi istituzioni, ma da quelle realtà emergenti che formano il tessuto vivo della scena italiana di oggi, il Teatro Minimo di Andria presenta un nuovo, bel testo di Michele Santeramo, La rivincita: Santeramo, che è anche attore, scrive di norma i suoi copioni per la compagnia, ma è ormai da considerare un autore a tutti gli effetti, dotato di un autonomo spessore creativo. Ne La rivincita si parla di tante cose, di tradimenti famigliari, di smanie di procreare, di rapporti di potere tra donna e uomo. Ma si parla soprattutto di denaro preso a prestito, di debiti, di usura: partendo da un assegno scoperto, che nessuno dovrebbe tentare di incassare, e che invece viene versato in banca provocando una catena di conseguenze, l'incalzante pièce innesca un meccanismo inesorabile che trasforma questo tema dei soldi spesi senza averli in un'autentica chiave di volta della società italiana del nostro tempo.
Al centro della trama c'è il proprietario di un campo, che non riesce a dare alla moglie quel figlio che lei vorrebbe a ogni costo, perché i pesticidi riversati nel terreno l'hanno reso sterile. La cura costa, e lui ricorre a uno strozzino che pretende interessi astronomici. Per uscirne, si rivolge a un avvocato senza scrupoli che gli ottiene un rimborso dalla ditta di pesticidi. Ma poiché la moglie, per fermare i profittatori, si fa mettere incinta di nascosto dal fratello dell'uomo, il rimborso va restituito, così viene venduta la casa, che lo stesso avvocato immancabilmente compra a basso prezzo.
Quella de La rivincita è dunque un'emblematica vicenda da tempi di crisi, lo spaccato – lividamente comico – di un gruppo di poveracci in balia di una mancanza di risorse che impedisce loro di far fronte alle esigenze più elementari. È la metafora di un'incoscienza, di una tendenza a vivere al di sopra dei propri mezzi che assurge a condizione storica, a immagine di un intero Paese. Ma il debito, l'usura toccano anche – e questo è l'ulteriore tocco amaro – le relazioni umane, nessuna delle quali appare realmente disinteressata, nessuna del tutto immune da una qualche forma di do ut des.
Il pregio principale del testo sta nella sua scrittura agile, veloce, costruita a scene brevissime, dal ritmo serrato. La stessa asciuttezza si estende anche ai personaggi, che sono visti senza moralismo, nell'oggettività dei loro comportamenti, buoni o cattivi che siano. Ciascuno viene colto in una luce sottilmente ambigua, ciascuno è insieme un po' vittima e un po' colpevole della sorte che gli tocca. La stessa rivincita evocata dal titolo, per cui il terreno incriminato, alla fine, comincia a diventare redditizio, non è troppo rassicurante: raggiunta una maggiore tranquillità economica, l'uomo si ricompra la casa, ma per farlo deve accedere a un mutuo oneroso. L'altra, grande qualità dello spettacolo – che solo nell'ultima parte sembra farsi leggermente aggrovigliato – è la recitazione lieve, informale, completamente immersa nella quotidianità, lontanissima da ogni patetismo: ben diretti dal regista Leo Muscato, tutti gli attori si muovono con spigliatezza nello spazio neutro, praticamente vuoto della ribalta: da citare, in particolare, Michele Sinisi, bravissimo nei panni del fratello cinico, e Michele Cipriani, che dà un tocco amenamente stralunato allo sconsiderato protagonista.
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La rivincita, di Michele Santeramo. Regia di Leo Muscato. Visto al Teatro i di Milano

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