Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2013 alle ore 09:21.

My24

Ci eravamo accorti che dalle sacre stanze della facoltà di Storia americana di Harvard faceva capolino un talento insolito con The Whites of Their Eyes (Princeton, 2010), il saggio che Jill Lepore ha dedicato all'emersione dei Tea Parties come effetto dello sconcerto della Right Nation, all'indomani della prima elezione di Obama. Ora Lepore conferma il suo tocco magico di marketing culturale, nonché il suo approccio inconsueto, scegliendo il titolo The Story of America per la raccolta di scritti «sulle origini», buona parte dei quali già pubblicati sul New Yorker.
All'origine del progetto un principio su cui Lepore incentra i corsi accademici di cui è titolare: l'avvento della democrazia americana s'intreccia con la storia della scrittura e della lettura e di conseguenza, per parlare di storia Usa, è indispensabile parlare di letteratura, in quanto i due sentieri sono inseparabili.

D'altronde la storia degli Stati Uniti, secondo Lepore, è una narrazione fatta d'intrecci che avrebbero potuto risolversi in mille modi diversi, come gli sviluppi di un'articolata narrazione. Perciò non va certo trattata come un monumento venerabile; e perfino dissacrare (qualcuno direbbe "raddrizzare") può diventare il plausibile compito d'uno storico di oggi, sempre se si assoggetta a quell'etichetta di "postmodernarietà" che fastidiosamente gli/le verrà attribuita. Ma appurare è comunque di grande interesse e fonte di rivelazioni, pensa Lepore, e per questo ha scritto un libro che ha il vantaggio d'essere divertentissimo. Ad esempio quando illustra come il "se", in questi ambiti, abbia un valore da non sottovalutare mai: "se" la prima stesura della Dichiarazione d'Indipendenza di Thomas Jefferson, che attaccava la schiavitù, per esempio avesse prevalso; "se" John Adams avesse dato ascolto alla moglie Abigail, che l'esortava a chiamare delle donne a far parte della nuova compagine politica; "se" George Washington, divenuto presidente, avesse fatto scelte più decise. Al tempo stesso – di nuovo a causa della natura "narrativa" della storia americana – cose false hanno assunto, col passare del tempo la dimensione encomiabile delle Verità, a dispetto dei Fatti. Per dirne una, Lepore studia il proliferare del fattore «capanna di legno» nelle biografie dei candidati alla presidenza. Dopo che Andrew Jackson viene lanciato come l'uomo qualunque, cresciuto a contatto con la natura e ritrovatosi a combattere le ingiustizie non per calcolo o per scelta, ma sulle ali della predestinazione, ecco che la gran maggioranza dei potenziali presidenti acquisiscono le sembianze del buon selvaggio. Nessuno più reo-confesso di squallidi studi di avvocatura: tutti spaccalegna che parlano con le aquile.

La storia, forse non solo quella Usa, non sa scrollarsi di dosso leggende e perfino favole. Le nazioni hanno confini reali, ma ne hanno anche d'immaginari, che tendono a spostarsi e a mutare. La letteratura, dunque, va rispettata dagli storici come un fattore formante, a dispetto della sua inaffidabilità. Può non essere ingannevole, ma viene creduta da un sacco di gente. Dunque può modificare il corso degli eventi.
E, ieri come oggi, si cresce tra gli equivoci. Gli americani sono pronti a classificare Benjamin Franklin come il genio che sapeva tutto di tutto. Solo pochi valutano, scrive Lepore, quanto Franklin fosse soprattutto un umorista cinico e balzano, capace di trasformare in un perenne consumo nazionale la più strafottente delle sue stravaganze, il Poor Richard's Almanack, zibaldone del sapere popolare che pubblicò ogni anno dal 1732 al '58, con vendite record per i tempi. Dentro c'era di tutto: previsioni meteo, giochi, consigli domestici, poesie, esercizi matematici, aforismi e giochi di parole che sarebbero sopravvissuti allo stesso autore. In fondo a firmare non era il riverito Franklin, ma il "povero Riccardo", uno a cui doveva essere andata male e che non doveva essere affidabile nelle notizie che dava. Ergo, scrive Lepore, da sempre gli americani ammirano un tipo sveglio, che aveva soprattutto il gusto di prenderli per i fondelli. Un'altra figura storicamente fraintesa a cui Lepore dedica attenzione è Thomas Paine, il terzo incomodo per definizione, uno sempre sottovalutato, se non vilipeso, oscurato dalla fama di Jefferson e Hamilton, colpevole d'avere un carattere ostinato e iracondo, limitata statura teoretica, a dispetto dei suoi trascinanti impeti rivoluzionari. Un sempliciotto? «Nel libro a fumetti a cui certe volte somiglia la storia americana, e nel quale i Padri Fondatori diventano una banda di supereroi, Washington potrebbe essere Superman e Jefferson è Batman. Ma Thomas Paine tutto al più è Aquaman, quello chiamato in causa solo se c'è da nuotare», scrive Lepore.

Storia dispettosa. Sovente distorce, travisa, tramanda ritratti infedeli di certi protagonisti. Credenze e fortune possono dipendere da fattori incontrollabili, come un'apparizione in un film o in un romanzo. La manomissione è dietro l'angolo, anche se quella che si racconta è una storia breve, come quella americana.

Prendiamo la sacralità del "voto segreto": mica è così. In America risale solo al 1890, allorché venne importato dall'Australia. Fino allora i ballottaggi erano pubblici e turbolenti. Altro che cabina elettorale: tra il 1828 e il '61 ci furono 59 morti violente nei seggi, il giorno del voto. Lepore si sofferma su un'elezione a Baltimora, dove regnarono le pistole fumanti e il Congresso dovette intervenire per validare l'esito delle urne, sostenendo che comunque ogni uomo di decente coraggio nell'occasione si fosse fatto largo fino alla sua scheda e che perciò andava bene così. Oppure analizza la celebre poesia (1860) di Longfellow dedicata a Paul Revere. Quello è il Pascoli degli americani, condannati a mandarla a memoria da piccoli. Lepore sostiene che il poema non sia per niente centrato sul gesto eroico del Minuteman di un secolo prima, quanto sia un manifesto contro la schiavitù, a sostegno dei suoi amici ferventi abolizionisti, Frederick Douglass e Charles Sumner. La verità ha i suoi diritti. Ma litiga con le credenze, le convinzioni e con i racconti. Può essere perfino giusto così: che l'oggettività sia materia arida per specialisti. Mentre i miti siano per tutti. Rincuoranti, simmetrici, giusti.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi