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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2013 alle ore 08:22.
Ormai sono in molti a vedere in Wayne Shorter il migliore compositore di jazz vivente. E per arduo che sia il far classifiche nei campi dell'arte, con tutto il rispetto per altri candidati (e candidate, da Maria Schneider a Carla Bley) si potrebbe anche convenire. Sassofonista classe 1933, Shorter è già da una vita nella storia, e in fior di capitoli. Per farla spiccia, era a 26 anni in una delle più belle versioni dei Messengers di Art Blakey, dai 31 ai 37 nel superquintetto di Miles Davis, poi per quindici anni nell'esemplare jazz-rock dei Weather Report, e poi, e poi…
Senza abbandonare la sua voglia di interrogarsi con ogni altro tipo d'incontri ed esperienze, dal 2001 Shorter gira il mondo con il suo stabile quartetto, cioè con il pianista panamense Danilo Perez, l'oriundo calabrese John Patitucci al contrabbasso e il batterista Brian Blade, tutti di un'intera successiva generazione. Ed è questo gruppo ideale ad aver registrato Without a net, disco-evento uscito pochi giorni fa. Non è nato nella quiete di uno studio; offre invece esibizioni dal vivo, tutte – a eccezione di una ben lontana dal quartetto – scelte dal tour di fine 2011. Le composizioni, è ovvio, sono in prevalenza di Shorter, sia nuove sia, ma solo un paio, abbastanza storiche (però senza ricorrere a quelle che furono capolavori alla corte di Miles, quali E.S.P. o Nefertiti).
Alcuni interventi shorteriani sono stupendi per la carica di pathos che possiedono, siano proiettati dal sax tenore (come in Plaza Real) o, con ancor più intensità, dal soprano (come in Zero gravity). Ma non meno brillante è ciò che intorno producono i tre soci. È evidente la cura negli arrangiamenti predisposta dal leader, ma con evidenza l'intero gioco collettivo si svolge secondo il naturale impulso di ciascuno e non su linee rigorosamente imposte. Quanto a questo, Shorter – il cui eloquio fuori scena ha spesso i toni di un filosofo, talora un po' esoterico ma senza allontanarsi dal reale – in una recente intervista se ne è uscito con una testimonianza da definir clamorosa: «Nei sei anni in cui sono stato con Miles Davis, mai abbiamo parlato di musica e mai abbiamo fatto delle prove». Aggiungendo: «Il jazz non dovrebbe avere vincoli di mandato. Per me la parola jazz ha il solo significato di una sfida. Questa musica è fatta per l'inatteso. Nessuno sa come cavarsela con l'inatteso. E come potresti organizzare e fare una prova su ciò che non conosci?».
In realtà la musica del quartetto ha tutto l'aspetto di un'improvvisazione assoluta, anche se un così fertile compositore è lì, e partecipa, e sostiene, e spinge, fino a toccare a volte un territorio astratto ma organizzato, non dimentico della melodia e anzi ricco d'infinite monadi musicali. E ciò avviene pure nel brano "a sé" infilato a metà del disco: sono i 22 minuti di Pegasus, incisi nel 2010 non con gli abituali tre jazzmen ma con i cinque del "classico" collettivo afroamericano The Imani Winds: i loro flauto, oboe, clarinetto, corno e fagotto circondano quel sax soprano a dir poco impressionante nelle sue volute.
Con Without a net Shorter è tornato a incidere, dopo un quarantennio, per una casa discografica che era stata importante per lui fino al 1970, la storica Blue Note, e un abbinamento viene naturale. Non si può infatti non notare come contemporaneamente un altro illustre sassofonista arrivi invece al suo ventitreesimo disco per la stessa etichetta: è Joe Lovano, quasi vent'anni meno degli ottanta di Shorter ma animato, diresti, da aspirazioni analoghe. Gliele asseconda il quintetto Us Five, che il solista italoamericano ha formato nel 2008 e che ha già portato alla terza uscita. Anche questo Cross culture è un exploit consigliabile al jazzofilo più aperto: il leader vi si prodiga con tutta una serie di sassofoni, anche rari ed "etnici", della sua collezione e in più trova un apporto spettacolare da due batteristi (specie da Francisco Mela, canale sinistro), nonché dal pianista James Weidman e, distribuiti in qualche brano, dal chitarrista africano Lionel Loueke e dalla giovane ma ormai lanciatissima contrabbassista Esperanza Spalding (per lei, e così chiudiamo il cerchio, proprio Wayne Shorter sabato scorso ha composto e diretto Gaia, una suite con la Los Angeles Philharmonic).
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