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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2013 alle ore 16:38.

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La bella sorpresa è che viene dal nostro paese il meglio dell'offerta artistica di questa settimana.

Un gioiello Tutti contro tutti di Rolando Ravello. Esordio alla regia di un attore tanto bravo quanto sottovalutato, è l'adattamento su grande schermo di una piéce teatrale, Agostino, che commosse e divertì moltissimi sul palcoscenico in cui lui faceva tutti i ruoli (una quindicina). Spettacolo e film sono stati scritti, entrambi, da lui e Max Bruno, e sono un ritratto tra commedia e dramma sociale della precarietà totale di questo presente. Agostino (Ravello stesso), sua moglie (Kasia Smutniak, sempre più brava), il nonno (Stefano Altieri), il cognato (il solito Marco Giallini) e tutto il resto della famiglia vanno alla Prima Comunione del figlio piccolo del protagonista. Un giorno di stress e di gioia di una famiglia "normale", fotografato in tanti dettagli di pochi secondi, ben inquadrati da un inizio che monta insieme primi piani di mani, sguardi, visi, un collo, una tazza. E questo si dovrà fare durante tutto il film: godersi l'insieme e spiare i dettagli. Ravello si dimostra un regista umile nel mettersi al servizio della storia di una famiglia che per poche ore di assenza si ritrova la propria casa occupata (anche perché chi gliel'affittava in nero l'aveva occupata a sua volta). E decide di non soccombere all'ingiustizia, ma di combattere. Occupando il pianerottolo, assediando la propria casa.

Si ride molto, grazie al nonno e a un mondo, il nostro, in condizioni tanto tragiche da essere grottesco, ci si commuove il giusto e infine ci si indigna. Grazie a un cast perfetto, a una visione semplice e potente della realtà, a una scrittura agile. Tutti contro tutti è un film popolare, civile, sentimentale e raffinato, in cui a tratti si rivede quello Scola che ha diretto questo cineasta alla sua opera prima in ben quattro film. E quel finale in cui si cita persino Pellizza da Volpedo – già citato pure in una scena precedente – entusiasma per quell'ingenuità necessaria a chi ha il coraggio incosciente di entrare nel cuore degli spettatori, senza l'aria o l'ossessione di pensarsi autore.

Tutt'altro genere il nuovo Gabriele Salvatores di Educazione Siberiana. Per la prima volta non è tra i produttori di un suo film, per la prima volta ha un grande budget (9 milioni di euro) e un cast internazionale, per la prima volta gira al freddo glaciale di una Lituania 30 gradi sotto zero. E ci sono tante altre prime volte in questo racconto di inquietudine giovanile e di amicizia inossidabile, in questo sguardo sulla linea d'ombra che tutti ci troviamo ad affrontare, crescendo, nella vita. Ma non durante il crollo di un impero, quello sovietico, e non nella comunità criminale più povera della Transinistria, quella raccontata dal best seller di Nicolai Lilin (ed. Einaudi) da cui il film è tratto.

Salvatores unisce la sua capacità di fare un cinema grande e ambizioso con un'anima pop e una sensibilità gentile e tenera (vedi il personaggio di Eleanor Tomlinson) che gli permette di trascinarti dentro un'avventura di vita vissuta di corsa, al massimo e molto pericolosamente. E pazienza se quel bel libro viene sfrondato di alcuni dei suoi lati più spigolosi, dall'omofobia alla violenza più ostica, merito e anche colpa di Rulli e Petraglia, sempre troppo attaccati ai modelli de La meglio gioventù e di Romanzo criminale, qui disinnescati a sufficienza dal regista. Il racconto coinvolge, prende, e con esso anche la filosofia di un gruppo di uomini che parlano con i loro corpi. Tatuandosi la loro storia, difendendosi con e dai coltelli, disprezzando i soldi e l'accumulare ricchezze in favore di un'etica disonesta ma a suo modo morale (contro potenti e prepotenti, divise e banchieri), rappresentata da nonno Kuzya, un John Malkovich ieratico e autorevole. Il regista mette a segno il solito colpo da maestro indovinando i protagonisti Kolyma e Gagarin (Arnas Fedaravicius e soprattutto Vilius Tumalavicius), sceglie uno stile da fiaba bastarda che ha in sé la forza dell'amicizia e d'amore, con un finale di quelli che non si fanno più, di quelli che ti fanno emozionare.

Educazione siberiana è la dimostrazione che possiamo ancora pensare in grande, che con cineasti così c'è di che divertirsi. E sarà impossibile per voi guardare l'orologio fino ai titoli di coda.

Un amore invincibile, un sentimento esagerato è anche al centro di Upside Down, fantascienza e tanto cuore, targati Juan Diego Solanas. Un film scombinato e sottosopra nel vero senso della parola, perché quest'opera è ambientata in due mondi capovolti, uno di sfruttati e un altro di sfruttatori. Due società che dividono i Romeo e Giulietta sci-fi di questo racconto, Kirsten Dunst e Jim Sturgess. Sarà sgrammaticato e un po' caotico Upside Down, a volte sbrigativo e altre troppo lento, ma i simboli, l'estetica e il trasporto dei sensi e del sentimento di molte scene vanno oltre ogni possibile errore cinematografico. Ve lo godrete, però, solo se vi lascerete andare.

Un bel fine settimana, insomma, che offusca il sequel spin-off in 3D Non aprite quella porta (trascurabile, nonostante Alexandra Daddario) o il velleitario Non ci indurre in tentazione, un bianco e nero con troppe pretese e qualche intuizione buona ma che non fanno un film.

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