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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2013 alle ore 08:31.

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La spiegazione migliore della crisi attuale l'ha data un garbato reazionario spagnolo alla vigilia di un'altra grande depressione. «In passato – scriveva José Ortega y Gasset nella primavera del 1929 – gli uomini potevano essere divisi tra i colti e gli ignoranti, ma lo specialista non può essere ricompreso in alcuna di queste categorie. Egli non è colto, perché ignora formalmente tutto ciò che non rientra nella sua specialità, ma non è neppure ignorante, perché è uno scienziato e conosce assai bene la sua piccola porzione dell'universo. Potremmo definirlo un ignorante istruito».

Tutti conosciamo la particolare petulanza degli ignoranti istruiti che pensano di poter controllare il mondo sulla base della conoscenza di una specifica materia: credono nell'infallibilità dei numeri e nella razionalità dei comportamenti umani; tutto ciò che è ambiguo li riempie di orrore. Soprattutto, disprezzano i non iniziati. Barricati dietro le loro credenziali accademiche e professionali, accettano di discutere solo con i loro pari. Cioè altri ignoranti istruiti che la pensano esattamente come loro perché hanno imparato a memoria gli stessi ritornelli.

Peccato che, di tanto in tanto, la realtà si faccia carico di smentire i loro calcoli. Nel 2008, a crollare con i mercati è stata un'intera costruzione teorica fondata sull'iper-razionalismo di economisti e banchieri che pensavano di poter ridurre l'economia a una formula matematica e la natura umana al programma di un computer. Oggi, sulle macerie delle facoltà di economia, alcuni studiosi stanno tentando di ricostruire un percorso di conoscenza che riprenda ad adattarsi alla realtà, anziché tentare di forzarla entro i confini di un'equazione matematica. Ma la svolta va ben al di là del pensiero economico. È come se la crisi finanziaria avesse rivelato all'improvviso i limiti della cultura dell'iper-specialismo che si era impadronita della nostra società. In tutti i campi, si moltiplicano le passerelle tra le discipline, il desiderio di sperimentare nuovi approcci e di uscire dai confini prestabiliti.

Se, fino a ieri, si pensava che il progresso camminasse sulle gambe di professionisti sempre più specializzati, oggi salgono alla ribalta i nuovi umanisti, una generazione di scienziati, di imprenditori e di artisti che ha iniziato a far saltare le barriere tra le diverse discipline per adottare un approccio più complesso alle sfide del nostro tempo. In campo scientifico, è sempre più raro leggere paper firmati da un unico ricercatore: la maggior parte delle scoperte è ormai appannaggio di squadre multidisciplinari. Nell'intrattenimento, non c'è molta differenza tra van Eyck che inventa la pittura a olio nel Quattrocento e John Lasseter, il fondatore della Pixar che rivoluziona la computer animation all'alba del Duemila. In entrambi i casi un artista si improvvisa scienziato per risolvere un problema tecnico che gli impedisce di appagare fino in fondo il suo desiderio di esprimersi.

Nel frattempo, serie televisive come I Soprano o Lost hanno recuperato i principi della Poetica di Aristotele per adattarli al gusto di milioni di spettatori. In campo industriale, il designer è emerso dall'anonimato come l'artista sei secoli fa, diventando la figura chiave che unisce l'arte alla tecnologia per produrre il valore aggiunto che determina le sorti di interi rami d'azienda. In Rete, intanto, personaggi come Jaron Lanier hanno cominciato a porre le basi di un Digital Humanism che rimetta al centro il singolo individuo, anziché le masse di internauti trasformate in un algoritmo dai cervelloni di Palo Alto.

Più in generale, fenomeni come il successo delle "Ted Conferences" o il culto para-religioso che si è sviluppato intorno alla figura di Steve Jobs dimostrano che l'ideale di un approccio in grado di superare le barriere disciplinari per confrontarsi il presente è più che mai attuale. Ecco perché è fuori luogo anche il piagnisteo degli accademici che lamentano il declino della cultura umanistica.
Certo, è possibile che alcune polverose facoltà universitarie abbiano raggiunto lo stadio del coma irreversibile. Ma è altrettanto vero che, nel corso degli ultimi anni, un nuovo umanesimo ha fatto la sua comparsa in ambiti imprevisti. Un po' come l'antica Grecia, sconfitta militarmente dai romani, ma capace di contaminare la cultura romana fino a dominarla, le discipline umanistiche saranno anche in crisi all'interno dei campus, ma la loro diaspora sta cambiando il volto di interi pezzi della nostra società.

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