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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2013 alle ore 08:30.

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Gli occhi di Silvia ti prendono e non ti lasciano più, «colmi di un terrore che non ti avevo mai visto prima», il terrore di una diagnosi senza appello: un tumore inoperabile a cinquantadue anni.

Pierlugi Battista, firma importante del Corriere della Sera, racconta ne La fine del giorno, in uscita il 13 marzo per Rizzoli, la malattia e la morte della sua compagna di vita, i progetti che c'erano prima e che poi sono rimasti lì, sommersi da quel piangere piano che accompagna il viaggio a Tumorville, secondo l'insuperabile definizione di Christopher Hitchens, anch'egli piombato nel mondo dei tumori e morto il giorno dopo Silvia, nel dicembre del 2011.

Gli occhi di Silvia scandiscono i ricordi di Battista, che parla di sé in terza persona e si chiama "P.", per infilare un pizzico di finzione letteraria laddove c'è un dolore infinito. Quegli occhi pieni di paura – che cosa è successo? che cos'ho? – ci accompagnano in questa storia familiare di perdita e di forza, di padelle con i funghi portate dagli amici e di equivoci sul cancro – no, non è il mio segno zodiacale, amore, è quel male che ti sta portando via da me.

Battista ci mette tutta la leggerezza che può nella tragedia e racconta di quell'incresciosa convergenza tra la malattia di Silvia e una sua idea, «una sconclusionata indagine para-letteraria» sui maschi che non si rassegnano di fronte all'età e grazie (anche) al Viagra possono comportarsi come eterni adolescenti a caccia di belle ragazze, salvo poi rodersi di gelosia perché si può fare sesso fino a età inimmaginabili, ma giovani non si torna più.

Voleva farci un libro, Battista, per distrarsi dal solito occuparsi di politica, aveva chiesto il benestare di Silvia, e l'aveva ottenuto, pur con qualche remora: occhio che poi fai la figura del vecchio porco, e pure io non ne esco bene se pensano che sia un'inchiesta autobiografica, gli aveva detto Silvia, in una rara incursione nella vita professionale di Battista. Ne avevano parlato spesso, di quei maschi imbizzarriti, lui rileggeva romanzi con occhi maturi, vedeva personaggi di cui non ricordava l'esistenza, ammonticchiava libri sul comodino, l'amato Philip Roth a fare da vedetta, che all'amore senile ha dedicato i suoi ultimi libri.

VECCHIAIA MALMOSTOSA
Nel linguaggio familiare che si crea dopo decenni di vita assieme, la sintesi perfetta di tutto quel che aveva a che fare con la senilità malmostosa era l'espressione «vecchio malvissuto», che Silvia e P. avevano imparato a usare anche con affetto, riferendosi a tutto ciò che invecchiava attorno a loro, gli amati cani soprattutto. I vecchi mal vissuti sono dappertutto, nell'ironia di questo dolce memoir in cui il tempo non cura nulla, anzi logora la speranza – mai data dai dottori, ma sempre cullata – di una possibile guarigione. Tra i vecchiacci e gli occhi pieni di terrore c'è la passione per quelle sedie americane che Silvia faceva di mille colori, le Adirondack, i tanti amici sempre vicini, i "protocolli" medici, la figlia Marta, ventenne, che si concede qualche smanceria perché sono tutti più fragili e impauriti, le letture che cambiano, i capelli che cadono, quel senso di ingiustizia invincibile: perché non posso invecchiare anch'io?

L'impotenza di Battista e di coloro che assistono alla malattia dei loro amati è rappresentata dal bicarbonato: arriva una lettera di una signora che è convinta che la cura al cancro esista, ma le case farmaceutiche non lo dicono altrimenti il loro business evaporerebbe, e quella cura si chiama bicarbonato. Silvia non ci crede ma non ha nemmeno la forza di riderci su, perché arrivi ad appigliarti a tutto pur di rimuovere quel terrore dal cuore.

A un bicchiere di amaro bicarbonato o a una preghiera, se solo non ci fossimo disabituati alla spiritualità, per cacciare via l'ansia di riconoscersi a colpo sicuro, perché i malati di cancro lo vedono da lontano un loro compaesano di Tumorville, ma anche chi resta ha quel dolore unico, specifico, indefinibile eppure chiarissimo, scritto addosso. Si può non cedere all'autocommiserazione, anzi si deve, scrive deciso Battista, ma quel terrore mai visto prima rimane, perché mi passano tante cose per la testa, amore, ma non so a chi altro dirle, se non a te.

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