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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2013 alle ore 08:52.

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Perché suoniamo brani pop altrui? Qual è, più specificamente, il vero fine di una cover? Una prima risposta è l'esattezza assoluta della riproduzione («Ehi, è venuta identica a quella su disco!»): il pubblico di un gruppo cover pretende filologia insieme al piacere estetico, e più l'esecuzione si confonde con l'originale, più l'esperimento ha successo. Percorrendo tale strada fino in fondo si arriva al caso limite delle "tribute band", il cui unico scopo è clonare uno e un solo gruppo per intero, anche dal punto di vista dello stile e dell'immagine: con conseguenti valanghe di finti Axl Rose, finti Ligabue e finti Vasco Rossi, che saltellano sui palchi dei locali di provincia. (Per non parlare dei nomi, in genere storpiature più o meno riuscite dell'originale: Fan Halen, BC/DC, Fred-Zeppelin). È il trionfo del mimetismo. Non si ascolta più la musica, o quantomeno non soltanto: si ascolta l'assoluta equivalenza. Si assiste a una messa.

Ma c'è anche uno scopo del tutto opposto nel rifare un pezzo: quello della sfida diretta all'originale. Pensate a All Along the Watchtower, dove Hendrix spazza via la creazione di Dylan imbottendola di soul e distorsione in parti uguali. O il rovesciamento parodico che fa Sid Vicious di My Way (che è fra l'altro la cover di una cover, visto che "l'originale" è in realtà l'adattamento di Comme d'habitude di Claude François).

In questi casi, il fine sembra essere l'esatto opposto del precedente: la diversità è un valore da coltivare, e più ci si allontana dal tracciato più c'è speranza di portare alla luce qualcosa che il compositore non aveva previsto. Qualcosa di nuovo. Un esempio fra i tanti, solo per rimanere in ambito contemporaneo, è Tori Amos alle prese con Raining Blood degli Slayer. Sostituendo un pianoforte all'uragano thrash metal, e la sua voce lieve alle urla di Tom Araya, la Amos riesce a cogliere lo stesso dolore in modo inedito – ma senza tradirne in alcun modo lo spirito.

Ed è qui che le cose si complicano. Una cover stupenda e innovativa ha diritto di corrompere il concetto stesso di originalità? «Certo», si argomenta, «tu hai ideato quella melodia, ma solo io ho saputo trarne la verità che nascondeva: di chi è il merito?». Forse la creazione musicale non è il travaglio di un singolo, come ci hanno insegnato i romantici, e non si riduce a un istante fisso: continua lungo nuove vie, lentamente, nel tempo. Non ditelo alla Siae, però.

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