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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2013 alle ore 08:53.

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Sarà per i capelli folti, neri, lucenti, per il carisma che emana, ma Uzoamaka Maduka ricorda vagamente Angela Davis. Intendiamoci, niente di più lontano dall'attivista del "black power", lei che, invece, è cattolica, va a messa la domenica e ama frequentare piuttosto i circoli letterari newyorkesi che non le Pantere nere.
Come dire, ne è passato di tempo, e la direttrice dell'acclamata rivista The American Reader – già, ma chi c'è dietro, tutti si chiedono, vista la ricezione di lusso da parte dei media di una pubblicazione distribuita soltanto in un pugno di librerie a Manhattan? – racconta una punta di fastidio per una scena culturale diventata troppo "clubby, claustrofobica e talvolta addirittura un filo insopportabile".

Uscita da Princeton con il suo compagno, Jac Mullen, questa 25enne che gli amici chiamano Max per brevità, si è ritagliata uno spazio originale tra le molte testate indipendenti che testimoniano, tuttavia, di un panorama effervescente. Lo ammette lei stessa, anche se la sua rivista è nata, come ha confessato al New York Times, per andare oltre quelle "storie di uomini bianchi profondamente nevrotici" o quelle sedute di autocoscienza del tipo "adesso vi racconto la mia storia nigeriana" (le sue origini).
"Ci sono davvero tante persone terribilmente intelligenti, divertenti, elettriche sulla scena letteraria", non tutto è perduto, insomma, "e penso che questa gente stia cominciando a collegarsi l'una con l'altra". Un esempio? Rachel Rosenfelt, musa della raffinata New Inquiry, "punto i miei soldi – scherza Maduka – su lei e sul giro che sta mettendo assieme".

Certo, Maduka lascia intendere di giocare in squadra, ma – saranno i venti anni e l'Ivy League alle spalle – con una vibrante consapevolezza di un compito generazionale al quale assolvere: "Parte della forse immodesta missione della nostra rivista è quella di riportare la letteratura all'interno della animata vita culturale di una metropoli americana e, auspicabilmente, degli Stati Uniti".

Vasto programma, si dirà, ma che non spaventa affatto la squadra di American Reader, da Ben Marcus, il capo redattore della fiction, alla responsabile dell'offerta digitale della rivista, Alyssa Loh. Tutti assai bene introdotti nel circuito dei salotti per i quali questi ragazzi esibiscono uno studiato fastidio, ma che si sono rivelati decisivi nel favorire un passaparola che ha portato il Reader sull'Economist e il Daily Beast, il New York Times, appunto (con una foto di Max modello Regina di Saba, in blu, tra i libri della sede della rivista) e il britannico Guardian.

Non abbastanza, tuttavia, per assicurare una stabilità economica al loro esperimento, nonostante i favori di un mecenate come Larry Gagosian (ma nessuno conferma che sia proprio lui il deus ex machina dietro il Reader). Ci vogliono ancora capitali freschi, ma non ci si preoccupa troppo nelle stanze della rivista; testa e occhi, piuttosto, su un futuro numero dedicato alla letteratura italiana, comprese le nostre voci "gitane" (ma "è un problema in molti posti in Europa", ammette Max, l'integrazione di questa tradizione e sensibilità nel corpus letterario di un paese).

"Trovo la poesia un po' troppo descrittiva per i miei gusti, si lamenta con sprezzatura Maduka con IL, punto su cui sono in disaccordo con la mia collega Elianna Kan. Ah, sospira definitiva e complice, i percorsi del gusto!"

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