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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2013 alle ore 08:23.

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Il Novecento è il secolo del frammento, e Walter Benjamin è il suo profeta. Certezze triturate, briciole di sapienza, lacerti di sogno: del secolo passato ci restano per lo più schegge provvisorie. In questo atlante dell'incompletezza, Benjamin spicca per il tono sapientemente oracolare. Nei suoi miracolosi quadernetti, appuntati con una maniacale meticolosità, tutta tedesca, è rinchiuso un esprit inarrivabile. E, spesso, quasi incomprensibile. Benjamin lo si capisce a stento, ma proprio l'oscurità fa parte del gioco, perché ci lascia intravvedere una sorta di terra promessa dell'intelligenza. Tra i molti, difficili frammenti benjaminiani, quello su Capitalismo come religione è uno dei più ardui. Nell'originale sono solo tre pagine, dense e sibilline quant'altre mai. E ambiziose, giacché Benjamin vi abbozza una sacralizzazione del profitto.
Il punto di partenza è quello, celebre, di Max Weber, ovvero la trasformazione dell'etica protestante nello spirito del mercato e della competizione economica. Ma a Benjamin questa weberiana sembra ipotesi timorosa. Il capitalismo non deriva semplicemente dalla religione. È, esso stesso, religione, e la più rigorosa, implacabile, estrema. Basta avere occhi per vedere, ed ecco che la liturgia monetaria si svela in tutta la sua crudezza. «In primo luogo il capitalismo è una religione puramente culturale, forse la più estrema che si sia mai data». Un culto ossessivo, che non conosce pause, continua giorno e notte. Non c'è riposo, e non c'è remissione. Come suo solito, Benjamin gioca con le parole, e trasforma il termine «Schuld» nel simbolo mistico della fede monetaria. Il vocabolo significa, in tedesco, sia «debito» sia «peccato», e così il rito del denaro ha per scopo il debito universale. Consumo, debito, consumo e, alla fine, la rovina. La bancarotta escatologica, quando Dio stesso affonderà nell'insolvenza. L'idea di un padre onnipotente che si fa garante dei debiti dell'umanità è sconcertante. Chi può mettere all'incasso forzoso i cieli dei cieli? O esiste un deus absconditus, una sorta di Profitto ultradivino, circondato dall'aura inconoscibile della teologia negativa? «La trascendenza di Dio è venuta meno – scrive Benjamin – ma Egli non è morto, è stato incluso nel destino umano». Il testo, che ora esce col commento puntuale di Carlo Salzani, è corrusco, apocalittico, e si è già guadagnato molta attenzione critica. Non si è però finora riflettuto a sufficienza sul concetto di «Kultreligion», su cui tutto il frammento fa perno, e che viene dalla teologia protestante del secondo Ottocento. È farina del sacco di Ernst Troeltsch, che Benjamin cita en passant, e – prima di lui – del teologo del profetismo Bernhard Duhm. Per gli storici delle religioni tedeschi, la pratica del solo culto, ritualistica e arida, si opponeva alla fede etica dei profeti. La prima era retaggio dell'Israele pre-esilico, la seconda sarebbe sfociata nel cristianesimo. La coppia di opposti culto/etica aveva anche un chiaro valore polemico, giacché la religione puramente ritualistica era divenuta, per i luterani, il cattolicesimo, mentre la Riforma si presentava come erede del profetismo morale.
Seppur con il suo stile criptico, Benjamin non fa altro che trasferire al capitalismo le «magagne» che i protestanti ottocenteschi avevano visto nell'antica religiosità ebraica e nella Chiesa di Roma. Certo, il contesto è diverso, e le tracce del trapianto concettuale sono abilmente dissimulate, ma resta il dubbio che, con una attrezzatura ideologica così datata, si possa davvero decifrare la fatale attrazione esercitata dal capitale. Il frammento si interrompe senza indicare una via d'uscita, un'eresia che possa dissacrare la religione del denaro. Da un cenno alla serie escatologica «pentimento, espiazione, purificazione e penitenza» pare però che Benjamin continui a ragionare nei termini del profetismo biblico. Viene a pensare al grande stravolgimento mondano e cosmico, predicato da Gioele (e commentato in maniera memorabile da Duhm), quando il veggente ingiunge al popolo di ravvedersi («tornate a me con tutto il cuor vostro, con digiuni, con pianti, con lamenti») in attesa della catastrofe ultima: «Il sole sarà cambiato in tenebre, e la luna in sangue, prima che venga il grande e terribile giorno del Signore». Stracciarsi il cuore prima del fallimento cosmico? Facile a dirsi, un po' meno a farsi, soprattutto se i templi, pardon, le banche non fanno più credito. Nell'attesa, business as usual.
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Walter Benjamin, Capitalismo come religione, testo tedesco a fronte traduzione e cura di Carlo Salzani, Melangolo, Genova, pagg. 60, € 9,00

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