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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2013 alle ore 12:28.

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I due Foscari - Teatro dell'Opera di Roma (Lelli e Masotti)I due Foscari - Teatro dell'Opera di Roma (Lelli e Masotti)

Il sipario si solleva su una scena gelida di pareti livide, con un gran Leone di san Marco. Il temibile Consiglio dei Dieci ha deciso: il giovane Jacopo, accusato di cospirazione, verrà esiliato, anche se suo padre è il doge Francesco. Il dramma è aperto. Scorrerà per tre brevi atti tra alte pareti grigie, con pochi elementi: un letto, un trono, e costumi ampi e incolori, come li ha pensati Maurizio Balò per I due Foscari. E' la "tragedia lirica" che il librettista Francesco Maria Piave ha messo in versi per Verdi nel lontano 1844 a Roma, in scena al Teatro dell'Opera della capitale fino a qualche giorno fa.

Un dramma politico, perché è Loredano, patrizio rivale del doge, che sta ordendo un golpe e ci riuscirà, esautorando il vecchio Foscari. Ma prima colpisce la sua famiglia negli affetti. Così il doge è diviso: come capo di stato deve accettare il verdetto dei Dieci nei confronti del figlio – un'accusa che si dimostrerà falsa -, come padre ne soffre, fino a morire d i creapacuore.

Padre e figlio vivono la tragedia sfogandosi con un canto appassionato, dove Verdi inventa quelle melodie piene di lacrime che commuovono ancora. Le parole "pianto, piangere" sono infatti quelle più usate nell'opera, e dimostrano come il musicista sapesse scendere nell'interno del cuore umano, estrarne i l dolore e comprenderlo.

La regia di Werner Herzog, autore che ama l'opera e Verdi in particolare (si ricorda i l suo film Fitzcarraldo con Klaus Kinski del 1982), fa muovere senza troppi strappi i cantanti-attori, le masse di popolani che festeggiano il carnevale e le gare dei gondolieri, insensibili ai drammi politici e familiari. Herzog dà il giusto spazio ad una musica che è anche veemente, furiosa. In particolare nei momenti i n cui c'è Lucrezia, moglie di Jacopo, che lotta sino allo spasimo contro tutti per salvare il marito, e i n quei duetti pieni di affetto e di sospensione tra il padre e i l figlio.

Musica perciò dolorosa. Verdi usa tre temi o leitmotiv diversi per i tre personaggi principali: uno ansioso per Lucrezia, uno patetico- affidato al clarinetto – per Francesco – e uno ambiguo per i Dieci in queste scene di ghiaccio dove i personaggi sembrano statue dai movimenti raggelati, maschere della sofferenza.

L'opera è diretta da Riccardo Muti, il massimo direttore verdiano attuale. Il quale estrae da un lavoro che certa critica continua a osservare con sufficienza momenti molto belli e intensi, facendo esplodere l'orchestra perfetta, ma anche lasciandola cantare con l'arpa o il clarinetto - un bravissimo Calogero Palermo – e dando spazio agli interventi calzanti del coro.

Vengono allo scoperto melodie grondanti amarezza e dolcezza, ed "insiemi" ruggenti, scritti da un Verdi trentunenne, ancora pieno di dolore per la recente perdita della moglie e dei figli. Di qui la sua musica così vicina al cuore umano, che Muti fa arrivare all'ascoltatore con passione, in uno spettacolo dove l'intesa direttore-regista-scenografo e cantanti ha dato vita alla riscoperta, è il caso di dirlo, della genialità di questo giovanile dramma verdiano.

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