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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2013 alle ore 08:22.

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di Flavia Foradini
«È la democrazia diretta, bellezza! E tu non ci puoi fare niente», sembrerebbe la risposta lanciata dai viennesi alla classe politica del loro municipio. Nel referendum popolare concluso da poco, i cittadini hanno infatti bocciato al 72% una possibile candidatura alle Olimpiadi estive del 2028, infischiandosene delle promesse di crescita da capogiro sventolate dal palazzo.
I viennesi non sono nuovi a inaspettati sberloni ai loro governanti. Anche un altro megaevento era stato fermato con un secco «Nein, Danke!»: l'Esposizione universale che Vienna voleva ospitare assieme a Budapest nel 1995. La grande coalizione di centrodestra e centrosinistra che allora amministrava la capitale austriaca da un comodo serbatoio di voti dell'80%, aveva ritenuto che un referendum per farsi attestare nero su bianco un "sì" della popolazione a ospitare l'Expo fosse un gioco da ragazzi, visto pure che, grazie alla manifestazione internazionale, si vagheggiavano introiti nelle casse cittadine per oltre un miliardo di euro. E invece il 65% dei viennesi aveva detto "no". Così nessuno parlò più di Expo, nonostante le proteste e i cantieri aperti di Budapest. L'iniziativa abortita aveva tuttavia lasciato sul campo investimenti a tappeto in «Transdanubien», nella zona cioè attorno al palazzo dell'Onu, sulla riva sinistra del Danubio. Terreni altrimenti poco appetibili, rimasti orfani di superprogetti su cui con fatica è stata poi inventata la «Donauplatte», la piattaforma di grattacieli a pochi minuti di metrò a est di Santo Stefano, che ancora non ha smesso di crescere ed è ormai una città satellite.
Nel 2010, un altro referendum cittadino ha sortito fra l'altro la richiesta di mezzi pubblici 24 ore su 24 nei fine settimana e la registrazione dei cani da combattimento della capitale. Però, sposando la posizione del sindaco socialdemocratico Michael Häupl, che aveva affermato: «Lo faccio solo se la popolazione mi obbliga», i viennesi hanno bocciato l'introduzione dell'Ecopass, tanto caldeggiato dai Verdi. Sull'ampia questione dell'assetto dei trasporti di Vienna, un'evidente indicazione dal basso: più mezzi pubblici per poter lasciare a casa l'auto nel fine settimana, ma libertà di entrare in città con le proprie quattro ruote per lavorare. Le tariffe di sosta sono peraltro già abbastanza salate e la progressiva estensione delle zone di parcheggio a pagamento in tutti i quartieri sono uno sviluppo ineludibile. Un'indicazione, quella del referendum, che ha indotto l'attuale giunta di coalizione rosso-verde a mettere in campo ulteriori incentivi perché si lasci l'auto a casa: da un lato, l'abbonamento annuale a tutti i mezzi per la modica somma di un euro al giorno, e dall'altro, il potenziamento a tappe forzate della rete di piste ciclabili, già giunta alla ragguardevole estensione di oltre un migliaio di chilometri nella Grande Vienna.
Quella stessa giunta ha fatto anche una bandiera della democrazia diretta: «Personalmente mi pare un peccato, ma accetto il verdetto e con ciò l'Olimpiade è un caso chiuso per noi», è stato il commento del sindaco Häupl dopo l'ultimo referendum che comprendeva anche altri quesiti per i quali la giunta si è vista confermare ciò che già voleva. È stato infatti deciso che non vi sarà privatizzazione di servizi primari: acqua, smaltimento rifiuti, ospedali, edilizia popolare, produzione di energia resteranno comunali. E oltre alle quattro centrali fotovoltaiche finanziate di recente dai cittadini, di cui due già in funzione e altre due attive entro l'anno, questi hanno stabilito che la questione energetica debba andare dritta nella direzione della sostenibilità.
Anche nei mesi scorsi, i viennesi avevano affrontato il tema della sostenibilità, ma si erano concentrati su un'accezione ben precisa: quella della convivenza in una città multietnica, multiculturale, multireligiosa. In 600 dibattiti pubblici avevano messo a punto un decalogo di regole per migliorare l'interazione fra gli abitanti. Il risultato, la «Carta di Vienna», è stato citato dal nuovo Rapporto dell'Onu «State of the world cities» (che mette comunque Vienna al primo posto della classifica mondiale), come esempio positivo di democrazia diretta. Per inciso: nell'ultimo referendum viennese, i votanti si sono espressi al 97,72% su schede postali.
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