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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2013 alle ore 11:01.

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Chissà cosa avrà pensato Luca Ronconi, regista famoso anche per le sue letture rigorose dei testi letterari, sabato sera era al Teatro Parenti tra il pubblico, del "Don Giovanni" di e con Filippo Timi. Uno spettacolo con un eccesso di tutto, di generi, di citazioni di musica, di parole ma dove c'è poco Da Ponte e Molière. Parafrasando il sottotitolo "Vivere è un abuso, mai un diritto" si potrebbe dire che c'è un abuso di reinterpretazione e riscrittura dell'opera musicata da Mozart e bisognerebbe anche tutelarne i diritti perché Don Giovanni non diventi un convitato di pietra.

La parte più aderente all'opera è l'appuntamento con la morte dopo il vorticoso "cupio dissolvi" del protagonista tutt'uno col dissolvimento del testo nel corso dello spettacolo. Si potrà obiettare che il testo è un pretesto per trattare dopo "Amleto", un altro archetipo dell'animo umano nella sua dimensione decadente e schiava delle pulsioni. E che un testo nella sua versione teatrale serve come specchio per riflettere sulla società attuale, una Babele stratificata di segni e citazioni provenienti da più parti dall' effetto kitsch. Può darsi, tuttavia lo spettacolo eccede vivendo e alimentandosi di eccessi fin dalla scena iniziale col protagonista strafatto che si alza sfatto dal materasso, a forma di croce, per indossare costumi policromi e multiformi, molto belli disegnati da Fabio Zambernardi, simili a quelli delle rock-star del glam.

E' rappresentata un'umanità informe e deforme espressione di quel "tacco rotto dell'esistenza di Dio" che, per condanna, va in rovina giocando con la morte e alla morte. Non c'è certo il rigore di Bergman in questo gioco, solo farsa dove anche la morte è ridotta a comparsa. Sono altri i riferimenti cinematografici di Timi: più che altro Sofia Coppola nella rilettura sfarzosa e pop di "Maria Antonietta" anche se non manca Stanley Kubrick nella citazione dello "scherzetto" da "Arancia Meccanica". Ma quando tutto viene meno il protagonista è assalito dalla consapevolezza di essere " solo una pozzanghera di piscio da condannato a morte" che si strozza nel grido di dolore alla madre invocata perché " non ho più maschere da farti vedere ma solo occhi senza angoli di un morto" dopo che si è fatto sbranare dai suoi-sue amanti baccanti e da se stesso. Non resta che sperare nella pietà di "un dio così umano da fare tenerezza, che non cerca il bene, che non combatte il male e finalmente si arrende alla bellezza della vita".

Uno spettacolo eterogeneo che mischia momenti lirici e kitsch nel corso delle quasi tre ore: per dirla con una battuta di "Amadeus" di Milos Forman "di tanto in tanto troppe note". Comunque il pubblico segue e si diverta senza alcun cedimento tributando ovazioni a scena parte. Un successo tale che le repliche continuano a grande richiesta, fino a mercoledì 27 Marzo.

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