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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2013 alle ore 11:12.

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Da settimane gli appassionati di serie tv non parlano che di questo: torna "Game of Thrones". Il prossimo 31 marzo innumerevoli spettatori si attaccheranno morbosamente al canale tv via cavo americano HBO – o scaricheranno, poco dopo, la prima puntata della nuova stagione su uno degli innumerevoli portali di condivisione file. (Secondo TorrentFreak, la serie è stata la più piratata in tutto il 2012).

Per chi non ne sapesse nulla, "Game of Thrones" è l'adattamento del ciclo di romanzi fantasy di George Martin "A Song of Ice and Fire": tradotta in italiano come "Il trono di spade" (e distribuita su Sky Cinema 1), ha conosciuto un successo senza precedenti in tutto il mondo. Riassumere la trama — spezzettata in molti rivoli e con numerose linee parallele — non è semplice, ma gli ingredienti fondamentali sono: una terra immaginaria sospesa nel consueto pseudo-medioevo; diverse casate di principi locali in lotta per il trono; manipolazioni e segreti di ogni sorta; un'oscura minaccia che sta per piovere dal nord; e una legittima erede confinata al di là del che mare organizza la sua vendetta con uno sparuto esercito di guerrieri nomadi (i dothraki) e tre draghi (al momento ancora cuccioli).

Non mancano ampie scene di nudo e di guerra: anzi, giudicare dai trailer, la nuova stagione promette di essere ancora più sanguinosa.
Ma perché un prodotto ispirato al fantasy ha avuto una simile accoglienza? Le quality series che hanno rivitalizzato il panorama televisivo statunitense negli anni Zero erano per lo più aderenti a un certo realismo sporco: la Baltimora di "The Wire", la New York anni '60 di "Mad Men", e così via. Come mai un'idea tanto differente è riuscita a imporsi con una simile perentorietà?

Di certo il pubblico era stato parzialmente preparato a queste atmosfere da "Il signore degli anelli": e di certo la grandeur scenica è sufficiente ad appassionare anche chi non digerisce il genere. Ma le ragioni dell'esplosione planetaria di "Game of Thrones" giacciono probabilmente nella sua capacità di mettere fra parentesi il dettaglio prettamente fantasy e di puntare il dito su tematiche più personali e, a modo loro, altrettanto "realiste": ben poca magia, e molte più spade: e soprattutto parecchi, umanissimi intrighi.

E se la dialettica fra l'integrità assoluta della casata Stark e la pochezza morale dei Lannister a volte ha il sapore di un bianco/nero troppo definito, sono i personaggi secondari a centrare maggiormente il punto: specie i maestri del complotto a corte, come l'inquietante lord Varys o il simpatico e insieme spietato Baelish. Del resto uno dei creatori della serie, David Benioff, la definì non troppo ironicamente "i Soprano ambientato nella terra di mezzo" (di tolkeniana memoria). Forse anche per questo il vero simbolo di "Game of Thrones" resta l'ineffabile, geniale, sarcastico nano Tyrion Lannister. Nel kolossal di prodi guerrieri, in qualche modo è uno storpio a svettare.

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