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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2013 alle ore 08:21.

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Se si vuole avere un'idea meno banale del rapporto tra teatro e vita, tra palcoscenico e realtà è sufficiente ripercorrere l'esistenza di Regina Bianchi, giunta venerdì sera al suo termine. La grande interprete, nata nel 1921, abbandonerà le scene nel '45 per ben quattordici anni, con la decisione di dedicarsi esclusivamente alle sue due figlie, avute con il regista Goffredo Alessandrini. Sarà Eduardo De Filippo a richiamarla all'arte, per affidarle il ruolo della protagonista in un riallestimento di Filumena Marturano, la commedia scritta e portata alla gloria da Titina, un ruolo così legato a quel volto e a quel corpo che l'attrice si rifiuterà, in un primo momento di vestirne i panni.
Proprio un'affettuosissima lettera di Titina la convincerà che soltanto lei avrebbe potuto riportare davanti al pubblico quel profilo di donna, «Voi andrete sicuramente benissimo» le scrive «perché studierete la parte e metterete tanto cuore nel recitarla». E, del resto, si trattava proprio della storia di una madre capace di fare qualunque cosa per i suoi figli. Fu il trionfo, grazie a una gamma di tonalità espressive differenti dalla prima indimenticabile incarnazione, ma con una diversa luce, una femminilità forte della sua bellezza, della sua energia, convinta del suo ruolo. Da quel momento Regina Bianchi diventa una delle figure più importanti del teatro di Eduardo, e deve a quello, grazie anche alle storiche riproposte televisive, la sua larghissima popolarità. Il suo nome vero era Regina Merola, ma era stato il padre Raffaele a cambiarsi le generalità adottando il nome d'arte, dal sapore interventista, di Italo Bianchi. Già perché il palcoscenico per Regina costituiva una tradizione familiare, con una bisnonna che aveva recitato alla Comédie Française e la nonna, da cui prendeva il nome, che aveva lavorato con il nume tutelare del teatro comico napoletano dell'ottocento, Eduardo Scarpetta.
Camerini, quinte e retropalchi erano stati dunque i luoghi della sua infanzia, messa a dormire, neonata nei bauli della compagnia mentre i genitori recitavano, come lei stessa ricorda in un bel libro uscito di recente, realizzato da Maricla Boggio, che raccoglie tutta la sua esperienza umana e artistica («Vita di Regina». Rai Eri, 2012). Ma molte cose ci sono prima e dopo Eduardo. I suoi inizi con l'altra grande figura della scena partenopea, Raffaele Viviani, al quale si presenta personalmente con la voglia di entrare a far parte di quel popolo umilissimo fatto di pescatori, muratori, lavandaie e prostitute che affollavano le opere e gli allestimenti del drammaturgo. E poi, anche in anni recenti, diretta da Ronconi e Guicciardini, Squarzina e Gregoretti, affrontando autori di taglio diverso, da Pirandello a Maeterlinck, da Goldoni a Brecht. Con qualche fortunata apparizione al cinema e in tv, e con un catalogo di madri illustri, da quella di Pirandello in Kaos dei Taviani a quella di Maria nel Gesù di Nazareth di Zeffirelli.
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