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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2013 alle ore 07:34.

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Belmondo nel film "Stavisky" (1974)Belmondo nel film "Stavisky" (1974)

«Se non vi piace il mare, se non vi piace la montagna, se non vi piace la città… andate a quel paese!»: Jean-Paul Belmondo si è fatto conoscere al mondo del cinema con questa battuta rivolta agli spettatori di «Fino all'ultimo respiro», capolavoro del 1960 di Jean-Luc Godard, vero e proprio manifesto della nouvelle vague. Oggi, arrivato a ottant'anni, l'attore viene spesso ricordato unicamente come protagonista di quel film, ma la sua carriera (e la sua vita) è ricca di trionfi, seppur non manchi qualche scivolone, e di ruoli entrati nell'immaginario collettivo.

Nato a Neuilly-sur-Seine il 9 aprile del 1933, figlio di uno scultore di origini italiane, Belmondo (noto con il soprannome di Bebel) dimostrò precocemente una forte attitudine per il pugilato (molto più che per l'ambiente scolastico) che lo porterà a vincere diversi incontri amatoriali. Dopo essersi diplomato al Conservatorio Nazionale d'Arte Drammatica, inizia il suo apprendistato come attore di teatro prima di esordire sul grande schermo nel 1957, in un piccolo ruolo, nel misconosciuto «A piedi… a cavallo… in automobile» di Maurice Delbez.

Molto presto viene chiamato da autori importanti come Marcel Carné («Peccatori in blue jeans» del 1958) e Claude Chabrol («A doppia mandata» del 1959) ma il successo arriverà con Jean-Luc Godard: nei panni di Michel Poiccard in «Fino all'ultimo respiro», Belmondo diventa a pieno titolo un divo del cinema francese, grazie alla sua aria scanzonata e al suo viso irregolare ma affascinante.

Il cinema d'autore
La collaborazione con Godard proseguirà con «La donna è donna» (1961) e con «Il bandito delle undici» (1965), altro cult della nouvelle vague, dove interpreta un professore deciso a scappare dalla vita borghese per intraprendere la carriera criminale.

In questi anni lavora anche con autori del calibro di Claude Sautet («Asfalto che scotta» del 1960), Vittorio De Sica («La ciociara»), Mauro Bolognini («La viaccia»), Jean-Pierre Melville («Leon Morin, prete», «Lo spione» e «Lo sciacallo») e Philippe de Broca: per quest'ultimo interpreta una sorta di Robin Hood alla francese in Scaramouche» (1962) e un soldato alla ricerca della sua fidanzata rapita nell'avventuroso «L'uomo di Rio» (1964).

Ormai considerato uno degli interpreti più eclettici dell'industria transalpina, Belmondo continua a dividersi tra il cinema popolare e quello impegnato: al secondo gruppo, nella seconda metà degli anni '60, appartengono «Parigi brucia?» di René Clement, «Il ladro di Parigi» di Louis Malle, «Un tipo che mi piace» di Claude Lelouch e «La mia droga si chiama Julie» di François Truffaut.

Il genere poliziesco e il lento declino
Negli anni '70, nonostante alcune sporadiche apparizioni in pellicole d'autore, come «Stavisky» (1974) di Alain Resnais, diventa un'icona del genere poliziesco, interpretando molte scene pericolose senza controfigura: tra i titoli da ricordare, «Il clan dei marsigliesi» (1972) di José Giovanni e «Lo sparviero» (1976) di Philippe Labro.
In seguito l'attore si dedicherà sempre più al teatro e sempre meno al cinema: riceverà comunque nel 1989 il premio César come miglior attore protagonista per il film «Una vita non basta» di Claude Lelouch, con cui tornerà a lavorare nel 1995 ne «I miserabili», una curiosa rivisitazione del celebre romanzo di Victor Hugo.

Dopo altre (occasionali e sfortunate) apparizioni sul grande schermo, tra cui nel fallimentare «Uno dei due» (1998) di Patrice Leconte e in «Amazone» (2000) dell'amico Philippe de Broca, nell'agosto del 2001 viene colpito da un'ischemia cerebrale che lo terrà lontano dalle scene fino al 2008, anno in cui tornerà a lavorare in «Un homme et son chien» di Francis Huster: pellicola maltrattata dalla critica e dal pubblico, rifacimento di «Umberto D.» di Vittorio De Sica.

Nonostante il declino degli ultimi decenni, nel 2011 il Festival di Cannes gli tributa una meritatissima Palma d'Oro alla carriera.

La vita privata
Come per molti dei suoi personaggi, la vita di privata di Belmondo è stata piuttosto tumultuosa: nel 1953 sposò la ballerina Élodie Constantin, dalla quale ebbe tre figli e da cui divorziò nel 1966 a causa di una liaison, particolarmente pubblicizzata dalle riviste dell'epoca, con l'attrice Ursula Andress.

Dopo una relazione ufficiale con Laura Antonelli negli anni '70, un altro matrimonio e un altro divorzio con la ballerina Natty Tardivel: i due si sposarono nel 2002 e si separarono sei anni dopo.

La sua ultima e chiacchierata relazione è quella con Barbara Gandolfi, ex coniglietta di Playboy, che gli avrebbe soffiato, con un sofisticato raggiro finanziario, circa 600 mila euro prima di essere lasciata lo scorso ottobre.

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