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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2013 alle ore 10:43.

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La sede delle Leghe per la Protezione della Rivoluzione di Kabaria, sobborgo di Tunisi, sembra quella di una pro loco nostrana: sedie e tavoli di plastica, diagrammi per le lezioni di pronto soccorso appesi ai muri. Invece delle fotografie dell'ultima sagra ci sono però scene della rivoluzione che nel 2011 ha portato al crollo di Zine El-Abidine Ben Ali. Le Leghe sono nate in Tunisia il giorno dopo la rivolta come comitati locali per la difesa dei quartieri nel vuoto di sicurezza creato dal collasso del regime.

Oggi, con il crescere delle violenze politiche, la scoperta di depositi di armi, gli assalti a sfondo religioso contro politici, artisti, ambasciate, alcuni membri dell'opposizione tunisina e attivisti accusano frange delle Leghe – che negano – d'essere dietro al clima di violenza e, in qualche modo, d'essere legate al partito di maggioranza, gli islamisti di Ennahda. Nei loro giubbottini giallo fluorescente, spiega Slim Ben Ayad delle Leghe di Kabareia, i membri aiutano nel quartiere quando «c'è un vuoto di sicurezza, per esempio durante le elezioni dell'ottobre 2011 eravamo ai seggi».

Lo stesso giubbotto fluorescente è comparso ad Assiut, 400 chilometri a sud del Cairo. La Gama'a al-Islamiyya, gruppo che nel 1997 uccise 62 persone in un attentato a Luxor e oggi fa parte della vita politica del post Mubarak, lo ha distribuito ai suoi affiliati dei "comitati popolari". Ad Assiut, la loro formazione – per far fronte ai persistenti vuoti di sicurezza – è stata annunciata da poco. In Tunisia ed Egitto, il sorgere di gruppi di protezione civile paralleli alle forze dell'ordine – anche se non armati – diventa per opposizioni, attivisti e osservatori internazionali una preoccupazione e la prova di un crescente vuoto di sicurezza cui i governi non sanno far fronte.

I nuovi eletti d'Egitto e Tunisia hanno promesso, appena arrivati al potere, una riforma degli apparati di sicurezza tanto odiati dalla popolazione perché simbolo delle brutalità dei passati regimi. Hanno ereditato colossali strutture corrotte e intimamente ancora leali a un Ancien régime cristallizzato nella sua burocrazia. Il paradosso è che ora i leader islamisti devono affrontare una sempre più precaria situazione nelle strade – scontri, dissenso, violenze – lavorando assieme a quegli ufficiali che per decenni hanno avuto un solo obiettivo: stanare gli islamisti. I poliziotti che in queste settimane hanno scioperato al Cairo accusano la leadership dei Fratelli musulmani di voler infiltrare i vertici del ministero dell'Interno. Il presidente Mohamed Morsi sembra voler evitare lo scontro e preferire un'inefficace convivenza ai danni della sicurezza interna. In Egitto e Tunisia, però, la transizione è bloccata dall'instabilità.

Senza sicurezza nelle strade e con economie malate di incertezza diventa difficile trasformare i risultati delle rivoluzioni del 2011 in coerenti processi democratici.

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