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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2013 alle ore 16:19.

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"Usa e getta. Le follie dell'obsolescenza programmata", Serge Latouche"Usa e getta. Le follie dell'obsolescenza programmata", Serge Latouche

Come i replicanti di "Blade Runner", il famoso film di fantascienza con Harrison Ford, gli oggetti che compriamo hanno una data di termine. Che siano made in China o in Usa, l'usa e getta è un must dell'industria per tenere alti gli standard produttivi. Serge Latouche, economista e teorico della decrescita felice, spiega che dunque non è un caso se il cellulare, il televisore, il pc o la lavatrice si rompono allo scadere della garanzia, né se la stampante si blocca dopo diciottomila stampe: si chiama "obsolescenza programmata", e basta un chip a decretare la morte di un elettrodomestico.

All'inizio furono le lampadine: nel 1924 il cartello dei produttori riunito a Ginevra sentenziò che duravano troppo e stabilì di ridurne la vita da duemilacinquecento a mille ore, poi – dopo la grande depressione del 1929 –, l'industria statunitense allargò l'"obsolescenza programmata" (locuzione che cominciò a far capolino all'inizio degli anni Trenta), ad un numero sempre maggiore di prodotto industriali, poiché con la crisi le persone tendevano a riparare gli oggetti, piuttosto che sostituirli. Ecco perché oggi, ammettendo di trovare un pezzo di ricambio e un aggiustatore, non conviene riparare proprio nulla, conviene comprare un nuovo prodotto.

Le conseguenze di tale truffa generalizzata ai danni dei consumatori sono pesantissime in termini di rifiuti prodotti, di risorse naturali sprecate e di guerre per l'accaparramento delle materie prime. Ci vogliono cinquecento navi ogni anno per trasportare centocinquanta milioni di computer inservibili nei paesi del Terzo Mondo, soprattutto in Nigeria e Ghana, e solo nel 2002 negli Stati Uniti sono stati buttati centotrenta milioni di cellulari funzionanti per via dell'"obsolescenza psicologica", legata al look e alle mode, tanto che ormai chi non ha un cellulare "touch" viene considerato uno sfigato.

Neppure le discariche illegali sono più sufficienti a stoccare l'enorme quantità di rifiuti elettronici, una bomba ecologica contenente metalli pesanti e tossici come mercurio, nichel, cadmio, arsenico e piombo, che quando vengono bruciati clandestinamente immettono nell'atmosfera diossina, furani e altre sostanze inquinanti. L'Africa non è solo il centro dello smistamento clandestino di questi prodotti, ma anche la principale fornitrice di metalli rari come il Coltan, per il quale si sviluppano guerre in cui le popolazioni locali vengono decimate.

Uscire da un simile circolo vizioso è difficile, ma si può. L'esempio arriva dai soliti paesi virtuosi del nord Europa: in Danimarca la zona industriale di Kalundborg costituisce un ecosistema industriale modello dove i sottoprodotti e i rifiuti delle imprese servono da materie prime per altre fabbriche. E l'attualità racconta che, in giro per il mondo – dai "Repaire Cafè" di Amsterdam ai "Fixers Collective" di Brooklyn, stanno nascendo luoghi dove imparare a riparare gli oggetti, ultimo il "Restart Project" di Londra, ideato con il contributo del trentenne italiano Ugo Vallauri.

E chissà che, prendendoci cura delle nostre cose, non avremo una maggior cura anche per le persone intorno a noi. Latouche conclude con una riflessione filosofica: «La società cosiddetta sviluppata si fonda sulla produzione di massa del deperimento, cioè sulla perdita di valore e il degrado generalizzati tanto delle merci quanto degli uomini», ovvero «sullo schiacciamento del tempo e il trionfo dell'effimero». Un fenomeno, quello dell'usa e getta, che tende a dilatarsi in tutti gli aspetti della nostra vita, secondo Zygmunt Bauman persino nell'amore e nella sessualità.

Serge Latouche
Usa e getta. Le follie dell'obsolescenza programmata
Bollati Boringhieri, pagg. 114, €14,50

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