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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2013 alle ore 08:19.

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Quando Paolo VI durante l'udienza generale del 15 novembre 1972 esordì con la domanda «Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa?», nessun fedele in ascolto si aspettava di ascoltare: «Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio». Papa Francesco, in meno di un mese ha già citato in tre solenni occasioni il diavolo come nemico insidioso che ruba la speranza, infonde amarezza, induce allo scoraggiamento. La formazione gesuitica di Bergoglio avrà sicuramente la sua influenza in quanto negli Esercizi spirituali sant'Ignazio di Loyola ricorda che l'uomo vive sotto il soffio di due venti: quello di Dio e quello di Satana.
L'insistenza del Papa sembra, però, preludere a un recupero dell'ortodossia teologica sul male che esce da indistinte letture socio-psicologiche per assumere un nome e un volto precisi. Il maligno esiste, agisce, non è una fantasia né una metafora. La dialettica cristiana vede in continua interazione l'opera di Dio, la libertà dell'uomo, la tentazione del demonio perché – come scrive l'evangelista Giovanni - «noi sappiamo che siamo nati da Dio e che tutto il mondo è posto sotto il maligno». La modernità non ha cancellato questa affermazione e il diavolo non appartiene alle idee in declino. Parole e convinzioni che ridimensionano la tesi conclusiva di Principe di questo mondo, un accurato e intrigante saggio di Tullio Gregory sulla figura del diavolo in Occidente. Il filosofo ricostruisce con rigore filologico e storico la «caduta di Lucifero» e l'interpretazione che ne hanno dato i santi, i Padri da Agostino in poi fino ad arrivare all'uso politico del demoniaco compiuto nel Medioevo e all'inizio della modernità.
Nella seconda metà del Trecento, un anonimo predicatore francescano crea un'immagine intensa. Dice: «Chi può contare il gran numero di demoni che tentano e tormentano gli uomini? Ci ronzano sempre intorno come mosche. Il loro numero è noto solo a Dio». Mosche. Ovvero la libera azione dell'individuo compie il male di cui si rende responsabile, ma in quella capitolazione hanno lavorato sciami di mosche. Gregory prende le distanze dalle suggestioni demoniache. La coscienza europea avrebbe tratto tanti vantaggi se cattolici e protestanti si fossero liberati di tanta teologia. E il motivo sarebbe semplice: le dottrine demonologiche apparterrebbero alla «Gazzetta degli sciocchi». Restano, però, aperte tutte le domande sulla «banalità del male» cui libertà, volontà e ragione spesso soggiaciono.
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Tullio Gregory, Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente, Laterza, Roma-Bari, pagg. 80, € 12,00

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