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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2013 alle ore 08:22.

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Chissà se la densa esperienza di ricerca sulla bellezza condotta da Gabriele Vacis con cinquantotto giovani di Alessandria, Vercelli, Novara lascerà in questi ultimi delle impressioni profonde e durature? Chissà se darà un senso diverso alle loro vite, come è accaduto a tanti ragazzi di Scampia? Certo è che, come sempre accade in simili iniziative, i partecipanti si assistono a vicenda, condividono delle scoperte collettive, liberano insieme delle forti energie creative. E questo è qualcosa che solo il lavoro teatrale può dare.
Lo spettacolo presentato dallo Stabile di Torino, ricavato da mesi di incontri e laboratori, ha avuto una genesi complessa. Nato da un bando del Dipartimento per le politiche giovanili del Consiglio dei ministri, il progetto è partito da un film sulle paure ed è proseguito con questa indagine sull'idea di bellezza, che a sua volta avrà uno sviluppo cinematografico. Intanto, opinioni e riflessioni raccolte finora sono confluite in un sito web (http://bellezza.tatrostabiletorino.it) e in una pagina Facebook (www.facebook.com/pages/Cerchiamo-Bellezza/286871954754837) che richiedono anche al pubblico risposte interattive.
La bellezza salvata dai ragazzini si articola in tre linee principali: a una serie di video-interviste proiettate su grande schermo, in cui i ragazzi rispondono alle domande del regista e della drammaturga Antonia Spaliviero, confidando quale è stato il dono più bello che abbiano ricevuto, o il luogo più bello in cui siano stati, si aggiungono le elementari azioni coreografiche che impegnano l'intero gruppo, e la recitazione dal vivo di brani letterari di vari autori, da Italo Calvino a David Foster Wallace a Don DeLillo a José Saramago.
L'inizio, con tutti gli "attori" in t-shirt variopinte che entrano in silenzio, dal fondo, a piedi scalzi, e vanno a occupare le sedie poste ai due lati dello spazio scenico, è folgorante. Il pavimento è fittamente costellato da centinaia di lattine di vari colori, che i ragazzi attraversano badando bene a non rovesciarne nessuna. Uno di loro dice una frase di Calvino sulla bellezza che si trova solo in ciò che viene fatto a brandelli, e così il paesaggio di lattine viene distrutto, raccolto in un sacco che si solleva lentamente verso il soffitto, producendo come un rumore di temporale che passa e si spegne.
I movimenti alla ribalta sono accompagnati da continue invenzioni visive, l'enorme mappamondo che illustra un racconto di DeLillo sulla Terra osservata da due astronauti, un pupazzone fatto di palloncini di plastica, una gabbia che cala dall'alto, una ragazza che suona un pianoforte su un carrello trainato dai compagni. Nell'insieme, funzionano le trovate legate a ciò che viene detto, in grado di ampliarne il significato, mentre altre talora paiono un po' fini a se stesse, e rischiano di appesantire la freschezza dei gesti e delle parole.
Il cuore del lavoro, ciò che colpisce e diverte e talora commuove, sono comunque le interviste a quei ragazzi italiani o asiatici o africani coi loro piercing e i loro sguardi stranamente limpidi e fiduciosi, che investono lo spettatore con pensieri spiazzanti: c'è chi non si sente ancora «bello pienamente», c'è chi si trova «bello dentro e fuori». C'è chi ritiene il posto più bello del mondo «la cucina della nonna», chi il suo quartiere malfamato, che però «mette allegria. Mi fa sentire al sicuro e bene». Per un altro è invece «Torino la domenica mattina, quando è ancora tutto chiuso. Un colpo al cuore». Sono queste schegge di realtà l'asse portante del progetto, sono esse a esprimere una carica di verità quasi straziante, tale da rendere superfluo ogni abbellimento, ogni ulteriore sottolineatura "poetica".
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La bellezza salvata dai ragazzini, regia di Gabriele Vacis, Fonderie Limone di Moncalieri; fino a oggi

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