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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2013 alle ore 11:33.

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Devo cominciare correggendo il mio amico Niall. Sulla storia del numero da chiamare per parlare con l'Europa si sbaglia. Un numero c'è: è quello di Catherine Ashton. Lo componi e ti risponde una voce registrata: per la Germania, premere 1; per la Francia, premere 2; e così via. Questo dice a che punto sta l'Europa.
Voglio dire un'altra cosa. Io penso che l'Europa sia un'idea meravigliosa. Dopo tutto Zeus, il più potente fra tutti gli dei, mise a rischio il suo matrimonio per fuggire con Europa, una donna per cui aveva perso la testa. E Ovidio, il poeta romano, canta: «E si porta la preda in mezzo al mare […] e [lei] tiene con la destra un corno, l'altra mano sta sulla groppa».

L'Europa era anche un'idea bellissima, quando, un'era geologica fa, decise di unificarsi dopo le due guerre più sanguinose della storia. Che storia magnifica: prima sei nazioni si mettono insieme, integrando la produzione di carbone e acciaio; poi, lentamente, danno vita a un mercato comune per merci, servizi di capitale e persone; segue la democrazia alla Cohn-Bendit, con la creazione di un Parlamento europeo, e alla fine introducono l'Euro, che consegna alla storia Franchi, Pesete e Dracme. Ora ci sono ventisette Stati membri. L'Euro regna dal Portogallo ai confini della Polonia. Quale sarà il prossimo passo? Gli Stati Uniti d'Europa, naturalmente.

[Interviene Daniel Cohn-Bendit: «Sì!».]
E invece no! L'Europa si sta sgretolando sotto i nostri occhi. Il più ambizioso esperimento politico da quando le colonie americane diventarono E pluribus unum ora deve fronteggiare la sua crisi più letale. L'integrazione può essere vista come una scalata, sulle Montagne Rocciose o sulle Alpi. All'inizio, in collina, la salita è gradevole e poco impegnativa, ma man mano che saliamo la pendenza si fa più scoscesa e l'aria diventa più rarefatta. Alla fine arriviamo alla cima, la parete Nord dell'Eiger in Svizzera, per esempio, e questa cima rappresenta il nucleo essenziale della sovranità nazionale.
Qui è dove siamo oggi, con l'Euro, il successo di cui andiamo più orgogliosi e che rischia di seppellirci. Ci siamo spinti troppo in là, e ora cosa facciamo? Ci sono tre strade: tornare indietro, fermarsi o attaccare. Vogliamo attaccare la cima e salire fino agli Stati Uniti d'Europa? «Ma guardate che cordata che siete, voi diciassette», brontola la montagna, «gente che arranca, miscredenti, sciancati e gente che viaggia a sbafo». E dato che è una montagna molto istruita potrebbe aggiungere che non c'è vera unificazione senza una guerra, dove l'elemento più forte costringe gli altri a fondersi in uno Stato unico. È quello che è successo in Italia e in Germania, e naturalmente – come ha già detto Danny – negli Stati Uniti, dove la guerra civile in realtà è stata una guerra di unificazione nazionale. Non ci sarà nessuna guerra del genere in Europa, grazie a Dio. Non c'è nessun Bismarck e nessun Lincoln nel futuro dell'Europa. E Frau Merkel naturalmente non è Bismarck.

Ma che cosa ci dice questa crisi terribile? Ci dice che per salire in cima bisogna avere sia la volontà che la capacità per farlo. Ma voi non avete né l'una né l'altra e non ce l'avrete mai perché: (a) non potete e non volete rinunciare alla fetta più importante della sovranità nazionale, cioè il potere di tassare e spendere; e (b) non siete nemmeno una cordata unica in partenza: solo due, tre, quattro di voi hanno la disciplina e la forma fisica per andare avanti, gli altri sono sovrappeso, azzoppati o sfiancati.
Ma lasciamo la metafora della montagna e torniamo giù. Il punto politico è che l'Europa è in bolletta, e la Germania non vuole e non è in grado di coprire gli ammanchi degli altri. Perfino la Francia è in bolletta. Non solo: quelli che arrancano non sono disposti a tornare all'accampamento e rimettersi in forma seguendo diciassette durissime diete nazionali, che hanno già mandato al creatore un gran numero di governi. Il problema più grave è l'ostinata tenacia dello Stato-nazione, che non intende cedere l'elemento essenziale della sua sovranità. Come dicono i tedeschi, l'amicizia finisce dove cominciano i soldi, e lo stesso vale per l'integrazione. L'Unione europea non sta più bighellonando in collina: ora deve affrontare la parete Nord dell'Eiger.

Significa che l'Europa ormai è storia? Non ancora. Ma una cosa la sappiamo, e cioè che in un certo senso l'esperimento è fallito, perché quel sogno meraviglioso degli anni Cinquanta – su, su, fino al cielo – è andato a sbattere contro la realtà sgradevole dello Stato-nazione che non vuole scomparire. E se vogliamo dirla tutta, quanti francesi, italiani, tedeschi, polacchi e così via vogliono rompere i legami con duemila anni di storia? Chi ha voglia di essere governato da Bruxelles invece che dalla propria capitale?
Voglio concludere con una preghiera. Prego che l'inevitabile tracollo dell'Euro, la parte più ambiziosa dell'esperimento, non seppellisca il resto dell'Unione. E voglio supplicare Zeus di salvare Europa dai flutti tempestosi e di adagiarla in una baia protetta, perché Europa non è in grado di sconfiggere il mare dello Stato-nazione, ma se dovesse affogare, il Canada e gli Stati Uniti non prospereranno. Amen e grazie.

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