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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2013 alle ore 17:46.

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Viaggio africano dentro la nera notte del dolore, grumo di emozioni, per troppo tempo taciute, che esplodono da una zolla di terra, protetta dal tronco cavo di un baobab, ventre materno onirico che ricompone e partorisce i cocci dell'anima di un'esistenza che trova finalmente le parole per raccontare le " Memorie di una schiava".

Penetra negli occhi, nelle vene, nel cuore, l'odore acre di quel sottosuolo selvaggio e mortifero, il palcoscenico del Teatro Studio ci trasporta verso mondi lontani e arcaici, in quell'angolo remoto, dove calva, impastata di creta e stracci, la schiava sudafricana senza nome, corpo, voce e potenza di Pamela Villoresi, libera il verso poetico e terrigno in un lungo toccante monologo, che con sensibilità e bravura il regista Gigi De Luca ha trascritto sulla scena per lei. Solitudine allo stato puro, carne bistrattata, umiliata, vilipesa, svenduta, che sfodera la potente verità di una bimba, non ancora circoncisa, strappata all'amore, per diventare trastullo e piacere di uomini nati padroni senza cuore e senza vergogna. Alter ego, simbolo imponente e viscerale dello spirito segreto dell'Africa, domina la scena, senza mai invadere, il suono dal vivo del musicista griot Baba Sissoko, le note di strumenti misteriosi come kora, ngoni, tamani, pulsano come battiti del cuore, perforano i discorsi, amplificandone il senso.

Il racconto assume i contorni di una preghiera laica, diventa voce senza tempo, ieri come oggi, di un mondo sommerso, purtroppo sempre attuale, di milioni di esseri umani privati della libertà e dignità. In quel volto mappa di rughe tatuate dalla sofferenza, in quello sguardo ferito e braccato della schiava Villoresi, riconosciamo l'urlo soffocato della moltitudine di creature oppresse e condannate. Lo spettacolo ha il pregio enorme di non scadere mai nell'eccesso o nel caricaturale, è un salutare pugno nello stomaco, che sollecita e commuove le nostre coscienze, spesso e volentieri assopite e distratte. Da brivido la prova d'attrice di Pamela Villoresi, che si cimenta in un'esperienza tattile, fisica e vocale ai limiti dell'estenuazione, danza, gesticola, si dimena, si lacera a brandelli quando rievoca lo strappo violento delle sue creature appena partorite, si accascia, scende nel baratro della sua reminiscenza per risalire a tentoni appendendosi alle funi catene che pendono da un collare di ferro sospeso. E' lei a ricordarci che lo schiavo senza padrone e utilità non possiede una casa, un luogo dove tornare, che diventa un fantasma randagio deprivato di tutto, un miserabile morto di fame. Per questo trova asilo e conforto in quel baobab, sospinta dallo spirito dell'acqua, trova il coraggio di ripercorrere la sua vita, di farsi inghiottire dalla terra eternamente cantando la libertà. A noi spettatori commossi il compito di cercare uno spazio per custodirne per sempre la voce. Da non perdere.

"Memorie di una schiava" di Gigi De Luca, liberamente tratto da Spedizione al Baobab di Wilma Stockenstrom. Traduzione di Susanna Basso. Adattamento drammaturgico e regia di Gigi De Luca. Musiche dal vivo Baba Sissoko. Scene di Luigi Ferrigno. Costumi di Giovanna Napolitano. Disegno luci Gianni Netti. Produzione La Bazzarra con il patrocinio dell'Ambasciata del Sudafrica in Italia. Foto di scena di Pino Miraglia. Durata 60 minuti senza intervallo.
In scena al Piccolo Teatro Studio fino al 21 aprile.
Dal 10 al 12 maggio Teatro Metastasio Prato.
www.pamelavilloresi.it

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