Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2013 alle ore 08:23.

My24

È difficile immaginare un inizio più vitale e travolgente: Geppetto ha appena deciso di chiamare Pinocchio quel burattino che sta costruendo, ed ecco entrare in scena un ragazzo che fa Pinocchio, poi un altro, e un altro ancora. Tutto qui, direte? Niente affatto, perché una porta laterale si spalanca all'improvviso e da essa irrompono duecentoquaranta Pinocchi tutti insieme, duecentoquaranta adolescenti in maglietta rossa, dai 10 ai 18 anni, alti e bassi, maschi e femmine, italiani e stranieri che continuano ad affluire senza tregua. Riuscite a figurarvi una massa di duecentoquaranta giovani corpi che, vociando e rumoreggiando, invadono la sala e si accalcano su un palcoscenico che non sembra poterli contenere, e invece, chissà come, li contiene, una minuscola bottiglia con dentro un enorme veliero? È un'immagine di incontenibile freschezza ed energia, quell'energia che Marco Martinelli, magnifico regista-pedagogo, punta sempre a suscitare coi suoi interventi, e che contrasta in modo quasi straziante con lo stato catatonico che pare incombere sul resto del Paese.
Per festeggiare i trent'anni di attività il Teatro delle Albe si è concesso – oltre a quattro giornate di riflessioni pubbliche – questa espressione fuori norma della «non-scuola», un modello di lavoro sul campo, di semina creativa che il gruppo di Ravenna va ormai esportando sempre più spesso fuori dai suoi confini, da Scampia a Chicago a Mazara del Vallo. Per la prima volta bambini delle elementari e studenti di liceo hanno agito fianco a fianco, in un evento eccezionale che si è concluso, dopo cinque repliche, con una parata per le vie della città. Certo, Collodi non tocca le vette poetiche dei versi di Majakovskij in Eresia della felicità, che dopo le «tappe» di Santarcangelo e Venezia rivivrà tra poco a New York: ma il burattino che rivende l'abecedario per pagarsi l'ingresso a teatro è l'ideale emblema di un progetto che non punta a trasmettere un sapere, ma a scatenare un'esuberanza anarchica e tuttavia, nella sostanza, profondamente educativa: colpisce, qui, la serietà con cui i grandi si mescolano ai piccolini, tutti attenti a ogni singolo gesto con un rigore encomiabile.
Come sempre nelle proposte della non-scuola, anche l'impianto di questo Pinocchio è corale. Sono tanti, di varia età, ad alternarsi nel ruolo di Pinocchio, mentre il Gatto e la Volpe diventano addirittura una banda di gatti e di volpi, e l'enorme Pescecane dentro il quale il burattino ritrova Geppetto è formato da tutti gli altri, decine di braccia che mimano ritmicamente l'aprirsi e il richiudersi delle fauci del mostro. Il tutto è scandito da un'irresistibile orchestrina di strumenti improvvisati. Quello di Martinelli è un Pinocchio sviluppato non tanto o non soltanto come racconto, ma come grande gioco collettivo, come rito inter-generazionale capace anche di incrociare l'attualità. È esilarante, ad esempio, l'uso di slogan da stadio: «Niente adulti / niente insegnanti / qui siamo tutti/ tutti ignoranti», rivendicano i frequentatori del Paese dei Balocchi. In quest'ultimo avvengono sfide di ballo come in un moderno talent-show. E la città di Acchiappacitrulli è un'eloquente metafora dell'Italia di oggi, con tanto di tricolore e inno di Mameli.
Domenica scorsa si è parlato del laboratorio di Vacis, ora del Pinocchio delle Albe. È un momento in cui queste iniziative forniscono un importante impulso al rinnovamento della scena. Mentre i tradizionali spettacoli per l'infanzia vogliono solo intrattenere, essi – pur senza fini didattici – svolgono una naturale funzione formativa: qualcuno dei partecipanti continuerà forse a far teatro, come tanti giovani attori di Martinelli, ma tutti avranno acquisito una preziosa disciplina.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi