Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2013 alle ore 08:11.

My24
Richie Havens (Ap)Richie Havens (Ap)

A volte la storia ti mette una mano sulla spalla, ti indica un'impresa impossibile e ti dice: «Adesso tocca a te, ragazzo». Per Richie Havens, folk singer newyorchese scomparso ieri a 72 anni, la mano della storia fu quella di Michael Lang, organizzatore del festival di Woodstock. Erano le 17 di quel leggendario 15 agosto del 1969, il primo dei «Tre giorni di pace, amore e musica» che volevano cambiare il mondo ma si accontentarono di cambiare il music business.

Davanti al palco allestito nella fattoria del vecchio Max Yasgur c'erano 500mila persone circa tra hippie e freak. Code interminabili e strade bloccate in tutto lo Stato di New York. I grandi nomi in cartellone facevano fatica a raggiungere la location del concerto e così Richie, all'epoca misconosciuto cantautore 28enne che si esibiva nei club del Greenwich Village ma aveva la fortuna di abitare a una manciata di chilometri da Woodstock, fu chiamato da Lang per aprire il live per eccellenza. «Havens aveva un grande cuore», dirà Lang anni più tardi. Ironia della sorte: è stato proprio il suo cuore a cedere, ieri, mentre si trovava nella sua abitazione di Jersey City. A renderlo noto Tim Drake, suo agente presso la Roots Agency di Westwood, New Jersey.
Il cantore di «Freedom»
In quel celeberrimo pomeriggio di quaranta e passa anni fa Havens raggiunse il palco a bordo di un elicottero con il chitarrista Paul Williams e il percussionista Daniel Ben Zabulon, due chitarre e le congas. Per loro un set acustico, immortalato dal film che Michael Wadleigh trarrà dal concerto. Richie sembrava un santo nero: calmo di fronte all'estasi di 500mila fedeli ma sofferente e pieno di sudore nel suo camicione orientale. Suonava la chitarra in accordatura aperta, prassi comune a molti folk singer dei Sixties, ma avanzando il barré con l'enorme pollice per cambiare accordo: questa sì un'originalità. Avrebbe dovuto eseguire giusto un paio di pezzi del suo repertorio per intenditori ma il traffico impazzito continuava a impedire agli altri artisti in scaletta di raggiungere il palco. Gli chiesero di proseguire con il suo numero e si arrivò al punto, temuto da ogni musicista, in cui hai ancora un pezzo da suonare e questo benedetto pezzo non ce l'hai pronto. Havens farfugliò nel microfono qualcosa intorno al concetto di libertà, la «vera ragione» del ritrovo di Woodstock, almeno a detta sua. E così improvvisò «Freedom», una cavalcata folk nel cui testo trovò pure il modo di infilare le parole dello spiritual caro a Pier Paolo Pasolini «Sometimes I feel like a motherless child». Quell'esibizione emozionerà un certo John Lennon che, con una delle sue insolite definizioni, la etichetterà come funky. Se non altro «Freedom» era un pezzo nero e lo ha capito bene pure Quentin Taratino che l'ha voluto nella colonna sonora del suo anti-schiavista «Django Unchained».

La sua hit: una cover di Harrison
Come tutta la leva di folk singer che, nella seconda metà degli anni Sessanta, scelse di vivere nei dintorni di Woodstock per seguire le orme di Bob «Sua Bobbità» Dylan, Havens era un cantautore colto. Proveniva da una famiglia originaria delle Barbados. Nato il 21 gennaio del 1941 a Bedford Stuyvesant, nei dintorni di Brooklyn, sua nonna lo iniziò ai suoni caraibici e ai canti della tradizione afroamericana, suo padre, pianista dilettante, lo avvicinò al jazz. Si fece le ossa prima con i cori gospel poi con il doo-wop, quindi provò a inventarsi ritrattista in quel centro dell'universo che negli anni Sessanta era il Village. Senza grande successo, però. Nel 1967, anno dell'esplosione del movimento Flower Power, debutta con l'album «Mixed Bag», più tardi fonderà la label indipendente Stormy Forest, con la quale realizzerà sei dischi tra cui «Alarm Clock» (1971), contenente la sua maggiore hit: una cover della celeberrima «Here comes the Sun» di George Harrison.
Il jingle per McDonald
La leggenda vuole che, in barba al suo curriculum tra gli anni Ottanta e i Novanta abbia scritto jingle pubblicitari per un bel po' di multinazionali come McDonald's. Bisognerà pur vivere di qualcosa. Non ha comunque mai perso di vista il suo ideale: memorabili le campagne contro l'inquinamento che lo videro protagonista e l'esibizione alle celebrazioni per l'insediamento alla Casa Bianca di Bill Clinton, nel 1993. Nel 2009 presso il Centro per le arti di Bethel, a pochi passi dalla fattoria Yasgur, si prestò alle commemorazioni per il quarantennale di Woodstock. Perché il «Santo Nero» del folk americano in tutti questi anni non si è mai spostato troppo da lì.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi