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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2013 alle ore 17:48.

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Un doppio, possibile, ponte festivo quello che ci attende. E che qualcuno utilizzerà per un viaggio e altri, magari, per andare al cinema. Sarà difficile per questi ultimi schivare "Iron Man 3", messo di proposito in questa collocazione per fare bottino pieno (e ha già iniziato con una giornata d'esordio in sala da record). Peccato che la qualità dell'opera non sia all'altezza dell'attesa e dell'affluenza.

Per Robert Downey Jr. è l'ultima volta da Tony Stark, e si vede: è sciatto, più gigione del solito, sembra non credere mai agli improbabili dialoghi di una sceneggiatura confusionaria e ipertrofica che lo mette di fronte a fragilità personali (attacchi di panico), un Bin Laden personale (Ben Kingsley), i problemi di coppia (che spreco avere così poco in scena Gwyneth Paltrow) e persino uno spicchio di paternità surrogata. Oltre che una voglia di cambiare vita che poco si confa alla sua arroganza egocentrica. Il tutto nelle mani di Shane Black – uno che in curriculum ha lo script dei cult "Arma letale" e "L'ultimo boyscout" e che come regista ha girato il gustoso "Kiss Kiss Bang Bang" – diventa un baraccone fracassone che ha due battute divertenti, una scena post titoli geniale e un paio di spettacolari momenti di distruzione totale. Che però non bastano per far diventare il mediocre "Iron man 3" un film. Tanti spunti interessanti ci sono anche nel film, completamente diverso, "Qualcuno da amare". Abbas Kiarostami, maestro del cinema iraniano va in Giappone: cerca, forse, la poetica del suo amatissimo Ozu ma, in una storia di tre solitudini che si incontrano e scontrano, probabilmente non casualmente (un vecchio, una ragazzina, un fidanzato geloso e psicologicamente fragile), sembra più scimmiottare Sofia Coppola. Il risultato è un lungo e noioso racconto di vita, una giornata vissuta costantemente alla ricerca di qualcosa che nessuno intuisce, neanche lo spettatore. Un peccato, perché in questo lungometraggio sfuggente e fuori fuoco si c'è qualcosa di bello, che però non si raggiunge mai. E questo può valere anche per "Viaggio sola" di Maria Sole Tognazzi. Si sorride, all'inizio: la Margherita Buy ispettrice di alberghi di lusso è un personaggio strano e godibile, con nevrosi contenute e un'indipendenza inusuale per le figure femminili del cinema italiano. Il soggetto è bizzarro e interessante, la scrittura è agile, i comprimari (si pensi agli ottimi Fabrizia Sacchi e Gian Marco Tognazzi, forse da usare di più e meglio) all'altezza. Ma più si va avanti più lo spunto, esile, va polverizzandosi e la pellicola si normalizza, entrando dentro i soliti schemi del grande schermo all'italiana. Quell'indipendenza diventa infelicità – ben riscattata forse da una battuta finale, ma non abbastanza – e la trama si dipana su binari più conformisti di quelli iniziali. Un bel rischio non giocato fino in fondo, però.

Rimane lo spazio per raccontarvi de "Le streghe di Salem" e di "Kiki- Consegne a domicilio", la delusione e il gioiello della settimana. Nel primo Rob Zombie perde il suo umorismo violento, surreale e visionario e scimmiotta l'horror cialtrone travestendolo da salto di qualità. Non basta il carisma della moglie Sheri Moon, icona cinerock, per tirar su un film che si trascina stanco verso una storia prevedibile. Due scene, quella del sabba e del corridoio, non sollevano il livello, leniscono solo il dolore di scoprirlo, forse, già con la vena creativa esaurita. Chi non si stanca mai di regalarci piccoli capolavori è, invece, Hayao Miyazaki. Anche se, come spesso capita in Italia, arriva qui con un film vecchio. Addirittura del 1989 (in Italia uscì in dvd nel 2002!): è sempre la stessa favola, persino ingenua e scontata. Ma come la sa disegnare e raccontare lui, non lo sa fare nessuno. E tanto basta per adorare questa strega adolescente con tanto di scopa e take away magico per un romanzo di formazione delicato e brillante. E un gatto parlante che non potrete non adorare.

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