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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2013 alle ore 08:21.

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Anna Proclemer, scomparsa giovedì all'età di quasi novant'anni, è stata una delle ultime «grandi signore» del teatro italiano: temperamento forte, voce importante, presenza autorevole, una bellezza in qualche modo non «moderna», dai tratti classici, intensi, il tipo di bellezza che porta a ruoli fondamentalmente tragici, benché non priva di una certa eleganza borghese. È stata a lungo compagna di Giorgio Albertazzi, ma prima era stata la moglie di Vitaliano Brancati, due sodalizi che hanno inciso anche sulla sua personalità artistica.
Formatasi alla scuola di Anton Giulio Bragaglia, ha percorso tutto il cursus honorum della scena del suo tempo, nel '48 Il gabbiano di Cechov con la regia di Strehler, dal '49 l'insostituibile apprendistato con Orazio Costa, che l'ha diretta nella Mirra di Alfieri, nella Dodicesima notte di Shakespeare, ne Le colonne della società di Ibsen, poi l'incontro con Gassman, col quale è stata fra l'altro Ofelia nell'Amleto, Giocasta in Edipo re, la contessa di Koefeld nel Kean di Dumas. Infine l'approdo alla prestigiosa compagnia Ricci-Magni.
Ma la fama dell'attrice si lega soprattutto alla celebre «ditta» Proclemer-Albertazzi, una delle più importanti formazioni private degli anni Cinquanta e Sessanta, una di quelle rare compagnie capaci di rivolgersi alle grandi platee senza però rinunciare a un repertorio «alto», di grande impegno culturale: Maria Stuarda di Schiller, Spettri di Ibsen, ma anche impegnative novità come Un cappello pieno di pioggia di Michael Gazo, I sequestrati di Altona di Sartre, Anna dei miracoli di Gibson, La pietà di novembre di Franco Brusati.
Dopo l'esaurirsi di questa esperienza la Proclemer si è come sentita libera di svariare fra generi e autori diversi, dal Balcon di Genet allestito da Strehler al pungente monologo La signorina Margherita del brasiliano Roberto Athaide, da Piccole volpi, un dramma a forti tinte di Lillian Hellman, al brillante Caro bugiardo di Jerome Kilty, da Giorni felici di Beckett al rabbioso Chi ha paura di Virginia Woolf di Edward Albee, con la regia di Mario Missiroli, a una lacerante Danza di morte di Strindberg, sempre imprimendovi, però, il segno del suo pieno e maturo vigore interpretativo.
L'ultima sua apparizione in palcoscenico risale – se non sbaglio – al 2005, quando era tornata a riunirsi con Albertazzi per dare vita, sotto la guida di Luca Ronconi, al singolare Diario privato, dal Journal littéraire di Paul Léautaud. L'anno scorso aveva ottenuto un bel successo personale nel film Magnifica presenza di Ferzan Ozpetek. Ma vanno ricordati anche i vecchi exploit televisivi ne L'idiota di Dostoevskij, nella fortunata versione per il piccolo schermo di Anna dei miracoli, nella Voce umana di Cocteau.
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