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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2013 alle ore 08:17.

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Due dogmi hanno segnato la neurobiologia sin dalle sue origini. Il primo sosteneva che il cervello dei mammiferi adulti non può generare nuove cellule nervose. Questa certezza è stata incrinata vent'anni orsono con la scoperta delle cellule staminali cerebrali e la conseguente formazione di nuovi neuroni in alcune aree del cervello adulto. Tale possibilità ha aperto nuovi orizzonti nelle neuroscienze ma ha anche complicato il quadro dell'architettura cerebrale. Per chi studia la struttura fine del cervello è molto diverso osservare un sistema complesso ma statico, rispetto a qualcosa che cambia anche strutturalmente nel tempo. È infatti dimostrato che il cervello non smette mai di crescere e modificarsi, un cambiamento in cui diversi tipi di cellule possono essere generate ex novo andando ad aggiungersi a quelle pre-esistenti. La scoperta delle staminali cerebrali è stato certamente un grosso balzo in avanti ma ha anche messo gli scienziati di fronte a nuove complessità, difficilmente esplorabili con le tecnologie disponibili. Si tratta infatti di seguire cellule giovani che subito dopo la loro genesi cambiano più volte forma e «vestito molecolare», immerse tra miliardi di cellule perenni.
Uno studio pubblicato di recente sulla rivista americana Pnas, condotto al Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (Nico) di Torino in collaborazione con l'Università della California, ha finalmente chiarito i passaggi che consentono a una cellula staminale di generare 16 neuroni al giorno. Nell'intero cervello del topo, questo processo crea quotidianamente fino a 10mila neuroni, un numero che sembra impressionante anche se non lo è rispetto al numero totale di neuroni cerebrali e tenuto conto del fatto che almeno metà delle nuove cellule muore prima di integrarsi. Eppure i risultati di questo apparentemente banale calcolo sono stati oggetto di discussione nella comunità scientifica per più di 20 anni, a testimoniare come la scienza proceda in realtà molto lentamente per capire come effettivamente avvengano i fenomeni rivelati da scoperte epocali.
Oltre ai dogmi, nella scienza, ci sono anche gli stereotipi. Uno dei più comuni negli ultimi decenni è quello che le neuroscienze avanzano sempre più rapidamente, «con passi da gigante» come si sente spesso dire. Purtroppo, la realtà dei fatti dimostra come la complessità della scienza contemporanea non venga percepita adeguatamente dalla società, creando pericolosi vuoti comunicativi con conseguenti fraintendimenti. Quello che sfugge è proprio il modo di procedere delle scienze biologiche, fatto di continui controlli incrociati sui meccanismi alla base dei fenomeni oggetto di studio.
Il secondo dogma è una conseguenza del primo: se i neuroni non possono essere sostituiti (e la maggior parte continua a non esserlo) allora ci accompagnano dalla nascita alla morte. Definiti già dal 1800 «cellule perenni», i neuroni sono capaci di sopravvivere quanto l'intero organismo, al contrario di molte altre cellule che vengono rinnovate più o meno frequentemente. Ma con la progressiva estensione delle aspettative di vita negli esseri umani proprio queste cellule diventano il fattore limitante: se grazie alla medicina rigenerativa il corpo potrà vivere ben oltre i cento anni, i neuroni «perenni» lo potranno seguire? La risposta della neurobiologia classica è: no! Perché si usurano e muoiono in quanto incapaci di rinnovarsi. Un altro studio, anch'esso pubblicato su Pnas e condotto al Nico in collaborazione con l'Università di Pavia, apre una falla nel secondo dogma. I ricercatori si sono chiesti quanto possa durare la vita dei singoli neuroni e se il suo limite sia legato alla sopravvivenza degli individui tipica di ogni specie (ad esempio 20 anni in un gatto, 120 nell'elefante). Trapiantando neuroni prelevati dal cervello di un embrione di topo (con vita media di circa un anno e mezzo) in quello di un ratto (in cui la vita media è il doppio), sono state seguite le cellule che si sono integrate come neuroni nel cervello del ratto. I neuroni di topo trapiantati sono sopravvissuti tre anni, fino alla morte naturale del ratto, indicando quindi che la loro sopravvivenza non è geneticamente fissata, ma può essere determinata dal microambiente dell'organismo ospite. Questa scoperta contraddice l'opinione diffusa che aumentare la vita media degli individui può essere inutile in quanto i neuroni morirebbero comunque negli individui sani. Tuttavia, anch'essa necessita di conferme, ad esempio verificando se il principio è valido per tutti i tipi di neuroni (solo uno tra centinaia di tipi diversi è stato esaminato).
Questi esempi non fanno altro che confermare come le porte aperte dalle nuove scoperte aprano in realtà nuove strade da percorrere alla ricerca di conferme e approfondimenti, proprio in virtù dei paesaggi complessi che attraversano. In neuroscienze, complice l'abitudine di divulgare risultati ottenuti con tecniche di imaging funzionale, erroneamente scambiate con una sorta di "lettura" della mente, è stata creata l'illusione che siamo vicini a capire definitivamente l'organo pensante. Nel frattempo, i risultati della ricerca di base, come le staminali cerebrali o le cellule pluripotenti indotte del premio Nobel Shinia Yamanaka, vengono erroneamente confusi con promesse terapeutiche. E allora si può capire (ma non giustificare) come procedure sperimentali senza alcuna dimostrazione scientifica possano essere somministrate sotto forma di «cure compassionevoli». Nella ricerca, e in particolare in neurobiologia, la strada da percorrere «con passi da gigante» è ancora lunga.

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