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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2013 alle ore 08:19.

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Nel 1586 Elisabetta I era regina d'Inghilterra. I suoi ventotto anni di regno erano stati travagliati da gravi problemi e pericoli. Scomunicata dal Papa, che la giudicava eretica e usurpatrice, e vigorosamente osteggiata da Filippo II di Spagna, che due volte avrebbe allestito una flotta per invadere le isole britanniche (e due volte l'avrebbe vista vittima di tempeste), Elisabetta era obiettivo di un'ininterrotta serie di congiure organizzate da un nutrito gruppo di esuli cattolici inglesi operanti sul Continente.
Catalizzatrice di questi intrighi era Mary Stuart, la regina di Scozia che, fuggita dal suo Paese, nel 1568 aveva chiesto asilo alla cugina ed era stata rinchiusa in varie dimore, sostanzialmente agli arresti domiciliari. Il governo inglese, soprattutto nelle persone del Lord Tesoriere William Cecil e del segretario particolare della regina Sir Francis Walsingham, l'avrebbe volentieri eliminata; ma Elisabetta era contraria, consapevole che l'uccisione di un monarca avrebbe indebolito la sua stessa condizione. Per proteggerla dalle insidie, Cecil e Walsingham avevano costruito una rete di spie e di informatori che, nelle sue complicazioni e doppi e tripli giochi, nulla aveva da invidiare al servizio segreto inglese reso famoso dai romanzi di John Le Carré. L'anno cui dirigiamo ora la nostra attenzione avrebbe segnato il culmine di questa loro attività e la realizzazione del loro principale desiderio.
Anthony Babington era un ricco gentiluomo del Derbyshire, venticinquenne, amico di un certo Robert Poley, che si spacciava per una spia cattolica ma in realtà lavorava per Walsingham. Il 6 luglio Babington, a nome di un gruppo di cattolici che tramavano per liberare Mary Stuart, scrisse a Mary dei loro piani, che includevano l'assassinio di Elisabetta. Il messaggero cui affidò la lettera era un ragazzo al servizio di Thomas Phelippes, il miglior falsario e decifratore di codici che il governo avesse a disposizione. Phelippes lesse la lettera, lasciò che fosse recapitata e pazientemente attese la risposta di Mary. La risposta fu spedita il 18 e consegnata a Phelippes. Era in cifra, ma dopo ventiquattr'ore Phelippes fu in grado di mandarne una copia a Walsingham. Il 28, Walsingham e Phelippes s'incontrarono a Londra e considerarono il valore incriminante della lettera. Mary si dimostrava al corrente del progetto di uccidere Elisabetta ma il suo tono era altrimenti piuttosto riservato; fu deciso quindi di aggiungere un poscritto più audace, nella stessa cifra in cui era scritta la lettera. Completa di poscritto, la lettera fu finalmente portata a Babington da un altro agente di Phelippes. Le autorità attesero qualche giorno prima di agire, sperando in una risposta di Babington che fornisse loro altre prove; poi, assistiti da Poley che conosceva tutti ed era al corrente di tutto, procedettero all'arresto dell'intero gruppo. Nella Torre di Londra i congiurati furono interrogati e torturati a lungo. La regina richiese che fossero giustiziati con particolare crudeltà. Normalmente, l'esecuzione di un traditore consisteva nell'impiccarlo ma, prima che fosse morto, nel tirarlo giù, sventrarlo mentre era ancora vivo, bruciarne in sua presenza i visceri e i genitali e quindi tagliarlo a pezzi. (Molti preti cattolici inviati segretamente dal Papa in Inghilterra avevano subito il trattamento descritto). Stephen Alford, che nel suo The Watchers racconta la storia di questo versante oscuro del regno elisabettiano, per fortuna non ci fornisce i dettagli dell'esecuzione del gruppo di Babington; ci dice solo che le loro morti furono tanto terribili quanto la regina aveva voluto.
In ottobre si svolse il processo a Mary, accusata a sua volta di tradimento. Al centro del dibattito c'era la bloody letter, la sua risposta sanguinaria (e ampiamente manipolata) a Babington. A Mary non fu concesso di avere assistenza legale o di vedere le prove a suo carico. Non era nemmeno presente quando la commissione giudicante emise la sentenza di colpevolezza. Dopo qualche ulteriore esitazione, Elisabetta si risolse a firmare la condanna nel febbraio 1587; Mary fu decapitata immediatamente, prima che la regina potesse cambiare parere. Ne valse la pena?, si chiede Alford al termine della sua storia. Certo Elisabetta morì nel suo letto (nel 1603, succeduta dal figlio di Mary Stuart); certo la religione anglicana fu salva; certo l'Inghilterra non fu invasa (anche se per motivi più meteorologici che spionistici). E comunque un libro così non ci deve una risposta. Siamo noi lettori che dobbiamo rispondere, ognuno per conto suo e sotto la sua responsabilità. Ognuno di noi deve domandarsi, avendo appurato che non c'è molto di nuovo sotto il sole, se una nazione che nello stesso periodo produceva Shakespeare e Marlowe, Francis Bacon e Edmund Spenser, avesse perciò, o per qualsiasi altro motivo, l'autorizzazione a praticare l'illegalità e la tortura, l'inganno e la menzogna. E ognuno di noi deve, soprattutto a se stesso, una risposta.
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Stephen Alford, The Watchers: A Secret History of the Reign of Elisabeth I,
New York, Bloomsbury Press,
pagg. xviii+398, $ 35

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