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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2013 alle ore 16:41.

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Come ogni evento Rai che si rispetti, anche il concerto del primo maggio ha diritto a un'anteprima acchiappa-sponsor: il collegamento Tv comincia così con un'ora e venti d'anticipo rispetto alla prima parte dello show musicale vero e proprio con le frecciate politiche di Geppi Cucciari (chiama all'appello gli spettatori di Roma, Napoli e del Salento a sottolineare la primazia del Concertone rispetto agli eventi organizzati a Bagnoli e Taranto, poi trasforma Camusso, Angeletti e Bonanni ne «i Ricchi e Poveri dello sciopero bianco»). Quindi un numero comico di Valerio Aprea sulla viabilità complicata nella capitale e il semaforo di via Merulana che diventa una specie di spaghetti western sulle note di Ennio Morricone. E vai con la musica: primi a esibirsi i gruppi selezionati con il concorso 1MFestival2013. Con una formula da talent show, il pubblico telefonando ha facoltà di scegliere il vincitore che si esibirà stasera coi big. Cominciano i Crifiu che propongono un etnofolk salentino non troppo originale al grido di «La musica sta cambiando». Ma ne siamo poi così sicuri?

Quindi tocca agli Aeguana Way, la prima band lucana della storia Concertone. Tre chitarre, basso e batteria per l'ennesimo post punk di provincia, testi in italiano, qualche parolaccia per fare «cool» e l'orgogliosa dichiarazione di diversità: «Non sono come tutti voi». Questo è, secondo l'oro, l'«Essere umano». Secondo brano dedicato a «Questa bella nazione che non ci fa piangere/ Non ci riesce nemmeno con i lacrimogeni». Nipotini potentini dei Sonic Youth. Molto meno potenti, però. Sardi, filone combat folk, front leader con elmetto da minatore, gli AlmaMediterranea inneggiano agli italiani «popolo di onesti che cammina a testa in giù». Vaghe reminiscenze di Manu Chao ma con meno originalità. Daniele Sepe sembra invece essere l'ispiratore occulto di «Sardabanda» che almeno ha dalla sua un acrobatico riff di fiati. Perfettamente allineati con la nouvelle vague del «complesso che valorizza il territorio». Destano una certa curiosità le Metamorfosi: nome banalotto, musica niente affatto. Immaginate la prima Carmen Consoli ospite dei New Order. Accoppiamento improbabile?

Riesce a rendere abbastanza bene l'idea della miscela new wave della band di Latina guidata dalla vocalist Sarah D'Arienzo. Ambiziosa l'offerta musicale del trio americano-siciliano degli Honeybird & the Birdies. Forse pure troppo per il pubblico del Concertone, tant'è vero che su palco arriva anche un pallone, prontamente rinviato da Geppi Cucciari. Completano la selezione degli emergenti i Toromeccanica, epigoni del dancefloor alla Franz Ferdinand ma con un'autoironia che funge da valore aggiunto. Eseguono «L'amore ai tempi della crisi» perché «se qualcuno ruba un fiore per te, sotto sotto c'è crisi». Sembrano quelli più consapevoli della fiera cui stanno prendendo parte. Secondo brano in scaletta «Non mi sbilancio». Per capirci: «Lei non è niente per me: è solo un'amica di mutanda». Vincono il Puglia Sounds. Bravi.

Enzo Avitabile e i Bottari aprono il concerto vero e proprio facendo ballare i ragazzi di piazza San Giovanni con la tarantella contaminata da improvvisazioni jazzistiche. Le botti battono e il napoletano si fa lingua universale di protesta in brani come «Nun è giusto» e «Aizamm' ‘na mano».

Dopo una parentesi da happening, con una ricercatrice che racconta le vicissitudini del suo precariato accompagnata da un quartetto classico, è tempo di «Andare» con il reggae degli Africa Unite, riunitisi nella formazione dei primi anni Novanta. Ritmo in levare, atmosfere ariose come le coste caraibiche, «esplosioni a Bogotà» nel centro di «Salmodia». In perfetto stile Marley le meditazioni amare di «Sole che brucia» cui fanno seguito i giochi linguistici di «Ruggine», ultimo brano del loro live act.
I Marta sui Tubi nell'esecuzione di «Dispari», brano con il quale hanno partecipato all'ultima edizione di Sarnemo, omaggiano Fabri Fibra, escluso dal Concertone per le polemiche innescate dai suoi testi misogeni. Innescano un sondaggio per alzata di mano sui gusti sessuali del pubblico, quindi intonano la ammiccante «che male c'è a farlo in tre». Ci scappa pure il saluto commosso a Lucio Dalla a un anno e due mesi dalla scomparsa, con l'esecuzione di «Cromatica», brano cui il cantautore bolognese collaborò. E si passa a «Vorrei», altro brano reduce dall'Ariston su cui la band pare punti molto a dispetto del risultato. «Di Vino» è la cavalcata finale che chiude la loro esibizione.

Attesissimi i Ministri che aprono con il riff affilato di «Tempi bui». Il bassista-cantante Divi tira fuori qualche ovvietà sul fatto che il primo maggio ha perso il proprio significato per le giovani generazioni, quindi la band si cimenta con una tirata versione di «Comunque». Il noisy pop de «La pista anarchica» rappresenta il momento meditativo della loro esibizione che poi torna aggressiva in «Diritto al tetto». Il tardo-pomeriggio vira verso il danzereccio con i Motel Connection che infilano «Two» e «Midnight Sound» raccogliendo consensi nella platea multi-gusto di piazza San Giovanni. In «Lessi is more» ci infilano pure una citazione di «Who's gonna ride your wild horses» degli U2 che chissà quanti avranno colto. Orfano di Fibra, il Concertone consegna il testimone del rap al freestyle buonista di Ensi che improvvisa sulle imbeccate di Geppi. Ottima la tenuta del palco di Renzo Rubino, finalista nella sezione Giovani dell'ultimo Sanremo. Prende a schiaffi i nomi nobili e ignobili dell'italica canzonetta in «Canzone pop». Ha autoironia degna di nota a un'età in cui, per difetto, ci si prende invece troppo sul serio. C'è spazio pure per «Il postino» che all'Ariston l'ha fatto conoscere al grande pubblico. Meno incisivo il pop introspettivo di Marco Notari che, per «Le stelle ci cambieranno pelle», sembra aver acquistato gli accordi a una svendita di The Edge. «Io», titletrack del nuovo album, se possibile annoia ancora di più. Ci fosse un premio a chi la spara più grossa, spetterebbe di certo al Management del Dolore Postoperatorio, il cui cantante con tanto di chierica francescana brandisce un preservativo come fosse un'ostia per introdurre «Pornobisogno». Dura farsi notare.

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