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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2013 alle ore 08:27.

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In una famosa lettera del 5 marzo 1852 al suo amico Weydemeyer, Karl Marx affermava: «Per quel che mi riguarda, a me non appartiene né il merito di aver scoperto l'esistenza delle classi nella società moderna, né quello di aver scoperto la lotta fra di esse». Di ciò – diceva il filosofo di Treviri – avevano parlato molto, prima di lui, con modalità diverse, gli storici e gli economisti «borghesi». Il merito che Marx si attribuiva era piuttosto quello di avere «dimostrato» che nel capitalismo maturo la lotta di classe conduce necessariamente alla dittatura del proletariato, e che questa dittatura costituisce solo il momento di passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi.
In Marx, dunque, la lotta di classe costituisce il fattore dinamico decisivo dello sviluppo storico. Nel suo ultimo libro, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Domenico Losurdo – uno dei nostri maggiori studiosi di Marx e del marxismo – individua appunto nella lotta di classe la categoria centrale della teoria marxiana, in quanto essa si configura come una teoria generale del conflitto sociale. Ma, sottolinea Losurdo, per intendere adeguatamente tale teoria, occorre ricostruirla in tutta la sua complessa articolazione. Infatti, nella prospettiva marx-engelsiana, la lotta di classe è un genus che sussume sotto di sé varie species: ci sono in primo luogo le lotte di classe delle borghesie dei diversi paesi sviluppati contro l'aristocrazia terriera e l'Antico regime. Poi, una volta che le borghesie hanno conquistato il potere, c'è la lotta di classe tra gli operai salariati che lavorano nelle fabbriche e i capitalisti che li «sfruttano». Poi c'è la lotta delle donne contro la «schiavitù domestica» (nella Ideologia tedesca di Marx e di Engels si legge che nella famiglia patriarcale «la donna e i figli sono gli schiavi dell'uomo»). Infine c'è la lotta di cui sono protagonisti i popoli ridotti in condizioni coloniali e semicoloniali.
A proposito di queste diverse lotte, il libro di Losurdo compie un vastissimo excursus attraverso le opere di Marx e di Engels (ma anche dei marxisti successivi, a partire da Lenin), grazie al quale il lettore recupera molti testi (oggi pressoché dimenticati) di grandissimo interesse storico-politico ed economico-sociologico. A me però sembra che, pur nella notevolissima ricchezza delle sue ricostruzioni e delle sue analisi (sempre acute), nel libro di Losurdo non risuonino alcune note fondamentali del pensiero di Marx. Per esempio, l'ammirazione che il pensatore di Treviri esprime in più luoghi per la formidabile rivoluzione storica realizzata dalla borghesia (la quale – si legge nel Manifesto del partito comunista – «ha creato ben altre meraviglie che le piramidi d'Egitto, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche; essa ha fatto ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le Crociate»). Così, a proposito del dominio coloniale inglese in Irlanda e in India, Marx ha certo scritto pagine frementi di sdegno (che Losurdo cita ampiamente), ma, per quanto riguarda l'India, Marx ha sottolineato anche che le «idilliache comunità di villaggio» indiane «sono sempre state la solida base del dispotismo orientale»; che esse erano «contaminate dalla divisione in caste e dalla schiavitù», e che la loro vita «stagnante, vegetativa», «evocava per contrasto selvagge, cieche e indomabili forze di distruzione, e dello stesso omicidio faceva un rito religioso». È vero (diceva Marx) che nel promuovere una rivoluzione sociale in India la Gran Bretagna era animata dagli interessi più vili. «Ma non è questo il problema. Il problema è: può l'umanità compiere il suo destino senza una profonda rivoluzione nei rapporti sociali dell'Asia? Se la risposta è negativa, qualunque sia il crimine perpetrato dall'Inghilterra, essa fu, nel provocare una simile rivoluzione, lo strumento inconscio della storia».
In pagine come questa si coglie tutta la complessità dell'atteggiamento di Marx verso la ineliminabile funzione storica della borghesia capitalistica: una classe destinata sì a tramontare, secondo il filosofo di Treviri, ma solo dopo aver potenziato in modo inaudito le forze produttive, e dopo aver rivoluzionato i rapporti sociali in tutti i Paesi arretrati, portandoli a un livello superiore di civiltà.
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Domenico Losurdo, La lotta di classe.
Una storia politica e filosofica, Laterza, Roma-Bari, pagg. 390, € 24,00

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