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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2013 alle ore 08:34.

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La chiave di lettura adottata dal regista Luc Bondy nell'affrontare Le retour – ovvero Il ritorno a casa, un testo del '65, fra i più misteriosi di Pinter – è evidente fin dalla scena iniziale: nella penombra si vede lo scorcio di un appartamento ricostruito nei minimi dettagli, la cucina in fondo, un piccolo bagno sulla destra, una roulotte scalcinata che sporge nel soggiorno, e quattro uomini impegnati in lavoretti domestici, il più anziano in cucina, gli altri che cambiano lampadine, lustrano le scale, passano l'aspirapolvere.
Questa immagine basta da sola a prefigurare il taglio dell'intero spettacolo: suggerisce già in nuce una sorta di piccolo realismo, di minuta quotidianità che non lascia troppo spazio a quei climi sospesi, a quelle atmosfere di sottile attesa che caratterizzano in genere le messinscene pinteriane. Ci cala subito nel contesto vintage di un ex-proletariato benestante ma rozzo degli anni Sessanta. E ci parla di un universo unicamente maschile, autosufficiente, forse chiuso nei propri equilibri interni.
In questo microcosmo famigliare governato da oscuri rapporti di forza, retto da un padre-padrone vedovo di una moglie di non specchiate virtù, cui il declino dell'età non ha attenuato certi impulsi violenti, sanguigni, e composto da un fratello autista, da un figlio che probabilmente fa il magnaccia e da un altro figlio pugile dilettante, piomba enigmaticamente, nella notte, il terzo figlio che se ne era distaccato in tutti i sensi: Teddy vive in America, insegna filosofia all'Università, ha una bella moglie che l'accompagna, e a sua volta tre figli.
È questa specie di specularità temporale a innescare lo strano corso degli eventi? Sta di fatto che la donna sembra identificarsi all'improvviso con l'altra, la morta, e coi suoi comportamenti disinvolti: umilia il marito, prende a flirtare pesantemente con questo e con quello, e alla fine decide di non ripartire con Teddy, vittima allibita o ambiguo complice. Resterà lì, a disposizione del clan, pronta a entrare in un giro di prostituzione, ma ferma e lucidissima nell'imporre le proprie condizioni.
Come sempre, Pinter dissemina indizi e false piste, crea tensioni che non portano però ad alcun significato. Le retour sfiora temi cruciali sui rapporti fra i sessi o sulla vera natura del potere, ma finisce nel nulla. Bondy pare accentuarne certi toni acremente caricaturali, evidenti soprattutto nel progetto di sfruttamento della donna: il che, unito alla provenienza dei protagonisti dagli Stati Uniti, pone in luce specialmente il truce ritratto di una middle class inglese di allora, cinica, arrivista, incapace di uscire dal passato. Ma oggi, ci dice ancora qualcosa?
Lo spettacolo è robusto, ben costruito, senza particolari invenzioni. Punta soprattutto sulle doti degli interpreti, in primo luogo Bruno Ganz, che dà al vecchio una parlata un po' chioccia, stizzosa, e gesti laidi, un movimento allusivo delle anche, le mani sulle cosce della nuora, la splendente Emmanuelle Seigner, che non sarà magari una grande attrice, ma regge praticamente tutto il gioco, e il bravo Micha Lescot, stralunato Lenny.
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Le retour, di Harold Pinter, regia di Luc Bondy. Milano, Teatro Strehler, oggi ultima replica

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