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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2013 alle ore 08:33.

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Una simile proiezione del futuro della Francia non ha nulla a che vedere con lo slogan «decrescita felice», di cui ciascuno di noi avverte anzitutto il significato della parola "decrescita" (e sul "felice" coltiviamo sinistri presagi). L'unica soluzione che vedo per il nostro Paese è quella di trasformarlo in un immenso parco a tema, minimizzando la vetusta e fallimentare politica industrial-sindacale. Si tratta di rinnovare l'offerta culturale e turistica, di valorizzare e poi far pagare l'ingresso a "Italiaworld" a quei milioni di turisti alla ricerca di qualcosa di unico e irripetibile, altro che le torri di vetro e acciaio intercambiabili, offerte massicciamente in qualsiasi neo-luogo dei Brics.

Il Trapezophoros di Ascoli Satriano – due grifoni che sbranano una cerva – è uno sbalorditivo capolavoro del IV secolo a.C. che, mostrato al Getty Museum di Los Angeles (dal quale era stato illegalmente acquistato), era solo un ennesimo magnifico cimelio astratto, privo di legami con il territorio che lo ospitava. Ma se Ascoli Satriano, luogo che nemmeno gli italiani immaginano come meta turistica, diventasse parte di un vasto territorio ben servito da treni e aerei, dove artigianato, agricoltura biologica, boutique-hotel, archeologia sono collegati al vicino bacino turistico del Gargano, e dove si può facilmente affittare un'auto, una bicicletta, un motorino o essere scarrozzati tra capolavori del passato e delizie gastronomiche, non si creerebbe forse sviluppo e lavoro "sostenibile", permettendo di mettere una croce sopra le devastazioni operate dal sogno industriale ormai tramontato? Negli ultimi decenni, in Italia, qualsiasi professione statale ha perso fascino e credibilità. Rovinati dal livellamento sindacale, gli insegnanti non sono più ritenuti autorevoli; rovinati dal posto garantito, gli impiegati e i funzionari statali sono diventati, nella percezione collettiva, una massa di sfaticati; rovinati dai privilegi autogarantitisi, i politici hanno perso la testa e con quella il collegamento col mondo delle idee, del lavoro, della progettualità.

Eppure è proprio dall'idea di un politico dei più svalutati, quel Gianni De Michelis degli anni del socialismo famelico e sbruffone, che bisognerebbe ripartire. I beni culturali sono il petrolio del nostro Paese, sosteneva De Michelis; sono "giacimenti culturali" e dunque sfruttiamoli, esibiamoli nel più allettante dei modi, facciamo pagare i biglietti dando un valore anche commerciale alla storia, alla bellezza, alla cura; creiamo posti di lavoro nel vasto campo di professioni che ruotano intorno alla cultura e al turismo. Non spaventiamoci per quel po' di kitsch che ogni commercializzazione porta inevitabilmente con sé.
Finite tutte le illusioni rivoluzionarie, l'unica vera rivoluzione sostenibile resta quella di dedicarsi ai giacimenti culturali, organizzandoli con le regole ferree delle catene di alberghi cinque stelle lusso: personale che ti guarda in faccia, ti saluta e sorride, cerca di aiutarti; disponibilità di comfort, esaltazione del bello e cura dei dettagli, promozione, investimenti, marketing… Perché non estendere quel tipo di progettualità e professionalità alberghiera alla commercializzazione di bacini paesaggistici, architettonici, artigianali?
Sono passati più di vent'anni dalla proposta di De Michelis, e con essi sono tramontati molti progetti, molte mode, molte ideologie. Ma i giacimenti culturali sono ancora qui, da valorizzare, e per fortuna le pagine di uno scrittore francese ce lo ricordano.

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