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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2013 alle ore 14:42.

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L.O.R.A L.A.M.M.. Quattro lettere il nome, quattro lettere il cognome. Otto labiali facili per la memoria, che hanno la forza di un brand o di un logotipo. E, come tutti i logotipi, la forza sintetica di saper raccontare e riassumere un periodo storico. Il suo nome, svizzero per nascita e italiano per storia, racchiude il ricordo di un periodo felice. Quello eroico della diffusione internazionale del design italiano: gli anni fertili dal '50 al '60.

Come sempre succede, i tempi passati, che ognuno di noi ricorda per le primissime avventure professionali, sono tempi mitizzati e di cui si colgono ora solo gli aspetti virtuosi degli ingredienti culturali che andavano allora miscelandosi, facendoci così trascurare il ricordo della fatica civile e politica di anni coraggiosamente costruttivi, sui quali però, al di là del paradiso della nostra professione, gravavano nebbie di restaurazione e di timidezze provinciali.

La grazia dei disegni di Lora Lamm immediatamente riassume il nostro paradiso professionale di allora: con la loro eleganza, che è forza e sapienza cosciente di avere alle spalle delle esili figure gentilmente acquarellate, la grande cultura della grafica svizzera di quegli anni, capace di passare dal rigore di Muller-Brockmann e di H. Neuburg, alla tipografia "addolcita" di Max Huber e appunto alle illustrazioni di L.L. o a quelle di un Picasso geometrizzato, come Hans Herni.

In quel periodo, inizio degli anni '60, ho avuto la felice ventura di conoscere Lora Lamm e abbiamo frequentato lo stesso luogo privilegiato di lavoro, in quegli spazi magici, all'ultimo piano del Grande Magazzino, di fronte, a tu per tu, con le guglie del Duomo di Milano. Erano gli uffici de La Rinascente (ancora di Borletti e Brustio) che, con l'Olivetti in primis, e la Pirelli si contendevano l'onore di essere pionieri e alfieri del design e dell'organizzazione aziendale nel mondo.

Lora Lamm bravissima, e già famosa, tesseva le figure di una cortese e forte immagine coordinata; io, neolaureato, timido e sconosciuto, guardavo le sue stanze senza forse mai incontrarla, proprio per il rispetto che il suo lavoro incuteva. Lora Lamm lavorava nel mitico ufficio pubblicità che ci riporta alla mente altri nomi che hanno fatto la storia di quel periodo (Amneris Latis, Adriana Botti, Giancarlo Iliprandi, Roberto Sambonet). E ci riporta alla mente l'incanto di quelle mostre che ne La Rinascente rivelavano mondi lontani: India, Giappone, Messico. Io lavoravo come consulente nell'Ufficio Sviluppo, diretto da un vero storico del design, Augusto Morello. Un laboratorio creativo, una fucina fertile di collaboratori internazionali in cui eravamo entrati offrendo all'unico posto di art direction che la Rinascente chiedeva, tre giovani intelligenze in formazione.

Tre amici del Politecnico: Mario Bellini, che da qui prendeva il volo verso una carriera di successi internazionali; Roberto Orefice, intelligenza critica, stimolante, ed io. Ci si muoveva in una Milano straordinaria: città del Piccolo Teatro, di storiche e vivaci case editrici, del Derby Club, della Casa della Cultura, di una nuova grafica, certo innervata dagli innesti svizzeri, ma poi dotata di una propria vitalissima autonomia (Tovaglia, Erberto Carboni, ovviamente Boggeri coach di tutte le nuove generazioni, Bob Noorda e Massimo Vignelli, Franco Grignani e di nuovo Iliprandi e certo Bruno Munari, Albe Steiner e Fulvio Bianconi...). E su tutti la magia dei grandi allestimenti di Achille, PierGiacomo e Livio Castiglioni super maestri, anche nel loro distacco dalle vicende mondane e frivole della professione.

Una città dove, orgogliosi, portavamo in visita amici architetti inglesi, francesi, tedeschi perché finalmente conoscessero il museo del Castello, la torre Pirelli, la torre Velasca, la "nave" di Moretti in Corso Italia e le sue Case albergo, tutto lo straordinario Caccia Dominioni, il Pac di Gardella, la Metropolitana di Albini, il brutalismo di Viganò. Architetture uniche, all'avanguardia non solo stilistica, in tutta Europa. In questa situazione di cervelli competitivi, la grafica di Lora Lamm riveste un ruolo fortemente identitario, una capacità unica di sposare gli acquarelli, magicamente figurativi, con la tipografia e con una impaginazione rigorosa, con una eleganza che già allora mi faceva ricordare le figure e la mise en page di riviste newyorkesi; con le loro donne sublimate da una eleganza che gli art director Henry Wolf «Esquire» e «Harper's Bazaar», e Aleksey Brodovitch «Bazaar» hanno reso indimenticabile.

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