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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2013 alle ore 15:14.

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Tra i mostri sacri del rock ci sono artisti che fanno di tutto per fare a pezzi la propria storia, tradendosi pur di rinnovarsi, e artisti che preferiscono navigare saldamente aggrappati alla propria leggenda. Questi ultimi di solito appaiono meno interessanti dei primi. A volte però ci regalano inaspettati colpi di coda, sintomo d'insospettabile vitalità. E il bello è che il pubblico se ne accorge e li premia.

Succede ai Deep Purple, padri nobili dell'hard rock britannico, attivi dalla bellezza di 45 anni: alla faccia dei tanti critici che li volevano ridotti al rango di cover band di sé stessi, dopo otto anni di silenzio in sala d'incisione tirano fuori «Now What?!», loro diciannovesimo album d'inediti. Che a sorpresa si rivela subito un successo internazionale: primo posto delle charts di Germania, Austria e Repubblica Ceca, secondo in Svizzera, quarto in Norvegia, settimo in Svezia, ottavo in Finlandia, dodicesimo qui da noi e in Olanda, diciannovesimo in Fracia, Spagna e nella natia Inghilterra. Era da almeno 25 anni che un loro disco non faceva così bene in quanto a vendite. Non è un tabù la formazione ampiamente rimaneggiata rispetto ai tempi d'oro: il turnover del resto non è mai stato tabù nella band che ha cambiato più volte line-up. La squadra è la stessa del precedente «Rapture of the Deep», con il tastierista Don Airey nel ruolo che fu del compianto Jon Lord e il chitarrista americano Steve Morse da ormai vent'anni al posto del leggendario Ritchie Blackmore. A tenere alta la bandiera dei reduci di mille battaglie rock sono ovviamente il batterista-fondatore Ian Paice, Ian Gillan e Roger Glover, rispettivamente cantante e bassista della gloriosa fase «In Rock»-«Who do you think we are».

La «cura» di Ezrin
Il valore aggiunto, nella circostanza specifica, abbiamo ragione di credere che stia nella mano santa di Bob Ezrin, smaliziato producer di tanti mammasantissima del rock che ha convinto la band a sciacquare i panni a Nashville, culla della tradizione musicale «bianca» degli States scelta dai Purple come location per le incisioni di «Now What?!». La cura ha funzionato: nel disco, tutto sommato fedele al roboante sound della band che nel primo triennio dei Seventies fece faville da un capo all'altro del pianeta, percepisci una freschezza d'approccio che non sospetteresti mai in una combriccola di settantenni. Si parte con «A simple song», intro melodico e pensoso all'intero concept con la chitarra metallica di Morse che indugia sulle corde alte e Gillan che sussurra: «Il tempo non ha importanza/ ma il tempo è tutto ciò cui dobbiamo pensare». Poco più avanti Paice e Airey scatenano l'inferno nella più classica delle cavalcate in stile Purple. «Weirdistan» si regge sulla possente linea di basso di Glover, mentre i tricorde di Morse strizzano l'occhio al pubblico hard & heavy. Campane a morte e archi sintetizzati spianano la strada a «Out of Hand», costruita intorno a un riff muscolare e al cantato meravigliosamente sbruffone di Gillan.

Tra l'hard e il progressive
Rock and roll senza complimenti quello di «Hell to pay», uno dei due singoli che hanno preceduto l'uscita dell'album. La strofa ricorda un po' le atmosfere Eighties di «Perfect strangers», il ritornello corale i refrain cari agli AC/DC. Morse e Airey, nei rispettivi assolo, impartiscono lezioni di virtuosismo a noi comuni mortali. Orecchiabile «Bodyline», zeppeliana «Above and Beyond», accattivante «Blood from a street». Ci scappa pure l'omaggio a Emerson, Lake & Palmer con «Uncommon man» che fa il verso alla celebrerrima «Fanfare for the common man» del power trio inglese. Ancora il progressive è il riferimento musicale di «Après Vous», nobilitata da un unisono chitarra-organo difficilissimo da riprodurre. Ballad ottimista e cantabile «All the time in the world», anche questa tra i due singoli che hanno anticipato l'album mentre la mefistofelica «Vincent Price», omaggio all'attore di tanti horror americani che fu voce narrante del «Thriller» di Michael Jackson, a giugno prossimo fungerà da terzo estratto. Non sarà «Fireball» o «Machine Head» ma «Now What?!» suona bene anche alle orecchie più esigenti. E, per i fan italiani, ha il sapore di un invito: dal 21 al 24 luglio i Purple saranno infatti prima a Milano, poi a Rock in Roma, quindi al Festival di Majano. Una volta (almeno) nella vita vanno visti sul palco.

Deep Purple
«Now What?!»
earMusic/Edel

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