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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2013 alle ore 08:28.

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L'idea più fresca e stimolante per festeggiare i quarant'anni di attività del Teatro Franco Parenti è un piccolo festival che si è tenuto nelle scorse sere, a cura delle critiche Claudia Cannella e Sara Chiappori e di un'operatrice sensibile al nuovo, Natalia Di Jorio: tredici studi, tredici variazioni sull'Amleto affidate ad altrettanti gruppi under 40. Un bel modo per ricordare l'apertura della sala milanese, avvenuta con L'Ambleto di Testori, ma anche una sfida, un'occasione per queste giovani realtà di confrontarsi liberamente non tanto con un testo, ma con uno snodo fondamentale della storia del teatro.
I lavori presentati erano tutti creati ad hoc, e duravano più o meno una mezz'ora ciascuno. Ma la brevità non costituiva un limite: quelle schegge, quei lampi di percorsi in fieri bastavano comunque a indicare dei diversi approcci personali al capolavoro shakespeariano. Alcuni erano in sé compiuti, altri preludevano a ulteriori sviluppi per diventare spettacoli veri e propri, ma anche questa provvisorietà non disturbava: la formula del cantiere aperto, che accosta frammenti ancora in fase di elaborazione, si presta a un altro tipo di visione, basato sulla molteplicità di sguardi e prospettive, più che sull'aspettativa del prodotto finito.
Francesco Colella e Francesco Lagi, attore e regista del Teatrodilina, proponevano ad esempio l'insolita chiave infantile del loro Amleto della buonanotte: un padre tenta di raccontare al suo bambino la storia del principe di Danimarca, e per farsi capire la rapporta a una sfera famigliare in cui, morto papà, lo zio Luigi sposa la mamma. Ma le richieste di chiarimenti del ragazzino – perché dovrei ammazzare lo zio Luigi? – lo mettono in imbarazzo, fanno risaltare le incongruenze della trama. Il danzatore Stefano Mazzotta ne ha fatto invece una ricerca sull'identità, con un'anonima figura che prova e cambia nevroticamente una serie di capi di vestiario.
Fra le operazioni più riuscite, da quanto ho visto, c'è il trascinante Hamlet travestie allestito da Emanuele Valenti con la compagnia Punta Corsara di Scampia: una folgorante contaminazione tra una parodia settecentesca di John Poole e il Don Fausto di Antonio Petito, dove si attua uno straordinario ribaltamento in virtù del quale il protagonista è un fissato che si crede Amleto, mentre i parenti si cimentano davanti a lui in una sgangherata rappresentazione della vicenda shakespeariana, nella speranza di farlo così rinsavire. Se n'è visto solo un assaggio, ma risultava già irresistibile.
Colpiva molto, pur fra mille imperfezioni, anche XX, YY del gruppo Opera di Vincenzo Schino, costruito intorno alla scultura di un gigantesco orecchio in cui un'enorme fiala di vetro sospesa versava un ignoto veleno, e uno spettrale Pierrot vi si infilava poi a dormire. Dall'ombra affioravano le voci registrate di due vecchi che con pesante accento dialettale parlavano dell'assassinio del re, dell'inferno dantesco e della paura della morte.
Era interessante la scelta del regista Andrea Baracco di porre in luce un personaggio di solito poco esplorato come Claudio, cogliendolo tra l'altro nel suo momento più introspettivo, quello in cui medita sull'eventualità del pentimento, e accentuando la fisicità quasi ossessiva della passione che lo lega a Gertrude. Immagini dense e sottili atmosfere improntavano invece Cherchez la femme dei Nanou, dove a tirare le fila dell'azione erano tre inservienti d'albergo che trasportavano senza sosta oggetti e costumi, fra balli da sala e luci da discoteca.
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Festival Tfaddal, visto a Milano, al Teatro Franco Parenti

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