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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2013 alle ore 15:51.

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Paolo Sorrentino (Afp)Paolo Sorrentino (Afp)

Il Festival di Cannes ai piedi di Paolo Sorrentino: applauditissimo dalla stampa internazionale, «La grande bellezza» si propone come uno dei grandi favoriti nella corsa per la prestigiosa Palma d'Oro. Aperto da una citazione di «Viaggio al termine della notte» di Céline, il film racconta la vita di Jep Gambardella, un giornalista di successo (interpretato da uno strepitoso Toni Servillo, meritevole della Palma per il miglior attore) impegnato a districarsi tra le feste più eleganti della Roma contemporanea.

Arrivato a 65 anni, ripensa con nostalgia al suo passato e al suo unico romanzo, «L'apparato umano», scritto in gioventù. Dopo aver rappresentato Giulio Andreotti ne «Il divo», il suo capolavoro del 2008, e dopo la trasferta americana di «This Must Be The Place», Sorrentino analizza in maniera cinica i (tanti) vizi e le (poche) virtù della mondanità italiana di oggi.

«La grande bellezza», uno straordinario concerto audiovisivo dove suoni e immagini sono in perfetta armonia gli uni con gli altri, si può definire un seguito ideale de «La dolce vita» felliniana: il sacro e il profano continuano a mescolarsi, ma ora ogni illusione sembra definitivamente perduta, i mostri marini sono scomparsi e non rimangono che semplici trucchi magici. Sorrentino si conferma il regista più ambizioso, capace e di maggior respiro del cinema italiano contemporaneo: il suo talento, al pari di quello dei suoi collaboratori, emerge a partire dalla sceneggiatura (scritta insieme a Umberto Contarello) per arrivare al montaggio e agli effetti visivi.

Un cast corale in ottima forma contribuisce a fare de «La grande bellezza» non solo il miglior film visto, fino a oggi, sulla Croisette ma uno dei titoli più importanti usciti nell'intera stagione. Altro nome particolarmente atteso, in concorso, è quello di Steven Soderbergh che ha portato a Cannes la sua ultima opera, «Behind the Candelabra», incentrata sulla vita di Liberace, celebre pianista statunitense nato a Milwaukee nel 1919 e morto a Palm Springs nel 1987. Prodotta dalla televisiva Hbo, la pellicola ruota attorno alla relazione sentimentale, nata nella seconda metà degli anni '70, tra Liberace e Scott Thornson, un aspirante veterinario molto più giovane di lui.

Seppur sia ispirato alle memorie dell'artista, «Behind the Candelabra», più che un semplice biopic, è una rappresentazione dello stile di vita di Liberace, della sua passione per il kitsch e del passaggio tra la grande popolarità e il declino artistico, simboleggiato dalla minaccia dell'Aids.

Efficace nello stile, Soderbergh in questo caso manca però di quei guizzi registici che avevano valorizzato i suoi due lavori precedenti, «Magic Mike» ed «Effetti collaterali». Tutto funziona (compresi i due protagonisti, Michael Douglas e Matt Damon, pienamente in parte) ma nessuna sequenza riesce a svettare sulle altre: ne risulta un prodotto monocorde, incapace di emozionare come avrebbe potuto.

Infine, delude «Un château en Italie», terzo lungometraggio diretto da Valeria Bruni Tedeschi dopo «È più facile per un cammello…» del 2003 e «Attrici» del 2007.
La regista interpreta anche la protagonista Louise, una donna appartenente a una famiglia, un tempo agiata, di industriali italiani che si trovano costretti a vendere il castello in cui vivono. L'incontro con Nathan (Louis Garrel), un giovane attore francese, le restituirà speranza per il futuro.

Incapace di trovare il giusto equilibrio tra i registri, dal grottesco al drammatico, Valeria Bruni Tedeschi firma un film artificioso e forzato, i cui difetti partono da una sceneggiatura scritta grossolanamente. Tra i tanti attori noti in scena (ci sono anche Filippo Timi e Xavier Beauvois) la migliore è Marisa Borini nei panni della madre di Louise.

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