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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2013 alle ore 07:46.

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Nella foto le attrici Lea Seydoux (a sinistra) e Adele Exarchopoulos protagoniste del film di Abdellatif Kechich, "La Vie d'Adele" sul reda carpet di Cannes (AFP Photo)Nella foto le attrici Lea Seydoux (a sinistra) e Adele Exarchopoulos protagoniste del film di Abdellatif Kechich, "La Vie d'Adele" sul reda carpet di Cannes (AFP Photo)

Ci sono opere nei concorsi internazionali dei grandi festival che servono "solo" a far viaggiare a una buona velocità di crociera la programmazione. "Nebraska" è una di quelle: il film in bianco e nero di Alexander Payne, sottovalutato quando era geniale ("Election") e considerato sopra le sue capacità quando ha imparato ad essere abbastanza furbo da piacere a critica e pubblico ("Sideways"), propone a Cannes una storia familiare, un on the road che viaggia sulle strade d'America ma soprattutto nei sentieri impervi e dolci della famiglia come nucleo emotivo ma anche economico. Il padre (Bruce Dern) e il figlio che accompagniamo nel viaggio verso un premio solo immaginato, infatti, ci raccontano cos'è la provincia statunitense e con piccole pennellate entrano dentro l'attuale crisi che attanaglia il mondo intero. Un racconto che non ha guizzi, ma neanche cadute di stile e che dice allo spettatore quello che promette, senza sorprenderlo.

Lo fa, invece, un superbo Abdellatif Kechiche. L'autore di "Cous Cous" e "La schivata" ci offre, semplicemente, il suo capolavoro e il lungometraggio che ad oggi meriterebbe la Palma d'Oro per manifesta superiorità. "La vie d'Adele", capitolo 1 e 2 (per 3 ore complessive) è una delle più belle storie d'amore mai raccontate su grande schermo, uno struggente romanzo di formazione sentimentale, erotico e persino sociale di un'adolescente che scopre la sua sessualità, ma soprattutto il suo cuore. Un'opera rivoluzionaria, culturalmente e cinematograficamente, nella sua semplicità. Kechiche, infatti, narra di due giovani donne – le irresistibili, vibranti Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos, per cui si prevede già un riconoscimento importante – che scoprono di amarsi. E con loro attraversiamo tutte le fasi del sentimento più potente e straziante: l'approccio, il (ri)conoscersi, la passione dolce e selvaggia, l'abitudine, gli sbagli, l'abbandono.

E ci dimentichiamo che siano fuori dai nostri stereotipi di genere, sessuale e cinematografico: nella Francia in cui uno scrittore si spara a Notre-Dame contro i matrimoni gay, un grande cineasta racconta che l'amore è tale perché due persone si trovano e diventano indispensabili reciprocamente. Che siano due uomini, due donne, due etnie diverse o uguali, poco importa. Il regista, poi, ci porta dentro la storia di queste due ragazze con quella camera da presa che nelle sue mani cerca il primo piano, per entrare dentro i protagonisti e lo spettatore, non ti lascia respiro, ti fa vivere ogni emozione come fosse l'ultima ma senza sovraccaricarti, solo coinvolgendoti e non lasciandoti andar via. Per sbatterci in faccia la normalità di un rapporto così disturbante per gran parte del mondo, pieno di pregiudizi, ha idee semplici e geniali: usa gli archetipi del cinema (due scene, prese di peso da Titanic e Indovina chi viene a cena, ad esempio), fa passare un uomo un po' grottesco per i suoi vestiti, la sua voce, i suoi tatuaggi e persino per l'età che non si addice al bar in cui sta, per dirci che non conta «l'oggetto o il soggetto del tuo amore, ma l'amore stesso».

E alla fine ti commuovi, ti immedesimi anche se gran parte di quello che hai visto non lo conosci. Non ha paura di spiazzare e scandalizzare Kechiche: la scena di sesso molto esplicita di almeno 10 minuti tra le due farà discutere, ma non è ne gratuita né pruriginosa: anzi, forse è la prima sequenza di sesso lesbico non girata ad uso e consumo dell'immaginario erotico maschile. Per questo e molti altri motivi, "La vie d'Adèle" è un capolavoro che segna irrimediabilmente questa Cannes 66 e anche la carriera del suo regista e delle sue protagoniste (sentiremo parlare di nuovo e a lungo di Adèle Exarchopoulos). Speriamo solo che Spielberg, Kidman e soci abbiano il coraggio e il desiderio di rendergli ciò che merita

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