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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2013 alle ore 09:00.

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La mattina dell’11 gennaio 1944 vento e morte si danno appuntamento a Verona. Galeazzo Ciano lascia il carcere degli Scalzi e va a morire: la vita che gli ha dato tutto sta per togliergli tutto. Poco dopo, al Poligono di Porta Catena, l’esecuzione: una scarica rabbiosa di fucileria, il colpo di grazia, il corpo disteso a braccia larghe. Come scrive Marco Innocenti, il "più bello del reame" muore poco più che quarantenne, meglio di come era vissuto. Era stato il delfino di Mussolini, il secondo uomo più potente del fascismo, ministro degli Esteri, marito di Edda, la figlia prediletta del duce, una stella mondana del regime spalmato di snobismo, protagonista di una corte da basso impero. Poi, tardivamente, si era opposto ai nazisti, con buone intenzioni e modesti risultati; aveva votato contro Mussolini al Gran Consiglio del 25 luglio 1943, si era messo contro la Germania e Hitler, che aveva giurato di saldargli il conto.

«Sono passati settant’anni e il tempo ha aiutato Verona a dimenticare il processo mortale che ne fece il palcoscenico degli anni di piombo fascisti. Castelvecchio che vide nascere la Repubblica Sociale e condannare a morte i “traditori” del 25 luglio, si offre, con la sua merlatura imponente, alle Nikon e alla rumorosa curiosità dei turisti». Innocenti, giornalista e scrittore, per oltre vent’anni responsabile del settore esteri al quotidiano “Il Sole 24 Ore”, cultore appassionato di storia del Novecento (non solo quella dei grandi eventi, ma anche della vita quotidiana e del costume), ha pubblicato con Mursia numerosi titoli sull’Italia del ventennio fascista e del dopoguerra. Nel suo ultimo libro “Ciano - Il fascista che sfidò Hitler”, fra i tanti possibili aspetti della sua biografia, ha scelto il taglio più drammatico. Galeazzo l’antitedesco, il nemico di Hitler, che si metterà di traverso sulla strada della guerra.

Nella cella del carcere a Verona, dove attende l’esito già scritto di un processo farsa, Ciano è solo contro tutti. Dalla sua parte stanno solo due donne, la moglie Edda e l’ultima amante, «due figure femminili che si spartiscono, in una paradossale combinazione, amore, strazio e furore». La moglie «fino all’ultimo, scontrandosi con il padre, battendo canali italiani e tedeschi, giocando la carta dei “Diari”, fa l’impossibile per strappare la salvezza di quel suo uomo fatuo, leggero, volentieri tradito, ma in fondo amato»,  commenta l’autore nel capitolo finale del libro. L’altra  donna «è una giovane signora di 22 anni, maggiore delle SS, professione spia, messa alle sue costole da Himmler per strappargli i “Diari” e che invece si è innamorata di lui, irresistibile “tombeur de femmes” anche a un tiro di fucile dalla morte. Si chiama Hildegard Burkhardt, è diventata Beetz da sposata, ma per tutti è Felicitas, perché – osserva Innocenti – ha un carattere da comprare a occhi chiusi, è allegra, elegante, fresca, sorridente, e ha una bellezza castana e minuta». Si è legata a Galeazzo Ciano nelle brevi ore trascorse assieme, dandogli un conforto sentimentale nelle ultime settimane di vita. Sia Edda che Felicitas saranno però sconfitte. La moglie, con i figli, fugge in Svizzera cercando di salvare il salvabile; l’amante, anni dopo, racconterà di aver rischiato la vita per lui, ma di essere stata tradita da Berlino.

Marco Innocenti, “Ciano - Il fascista che sfidò Hitler”, Mursia, Milano, pagg. 174, € 15,00

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