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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2013 alle ore 08:27.

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iò che rende insopportabile la vanità degli altri è che offende la nostra.
Confesso che, se voglio velocemente isolare una frase nitida e incisiva, che sia d'appoggio a una tesi, non ho esitazioni: sfoglio uno dei grandi autori moralisti francesi, come ho fatto ora con le Massime di La Rochefoucauld e con questa sua riflessione sulla vanagloria.
Il termine «vanità» esprime bene, da un lato,
la vacuità della sostanza e, d'altro lato,
il pavoneggiarsi supponente della fatuità.
«Quell'uomo era come una gallo convinto
che il sole sorgesse per ascoltarlo cantare», ridacchiava con ironia british la scrittrice George Eliot. La Rochefoucauld centra un aspetto autocritico ulteriore. Il sarcasmo
che riserviamo alla vanità altrui è una
sottile autodifesa della nostra. Il dispiegarsi della gloria, più o meno vana, del prossimo
è una nube che minaccia la nostra
indiscussa "grandezza".
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