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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2013 alle ore 08:36.

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All'inizio, Ascanio Celestini sembra quasi cercare un rapporto diretto con la platea, cosa insolita per lui, che si muove sempre dentro rigide gabbie formali: introduce, interloquisce, cita spunti di attualità, le brutte foto elettorali di Bersani, Berlusconi e le minorenni, con considerazioni personali talora politicamente spiazzanti: solo verso la fine del lungo prologo si intuisce che esso era già parte dello spettacolo, che raccoglie un florilegio di opinioni comuni, poco importa se da lui condivise. Discorsi alla Nazione, il suo nuovo lavoro in fieri, è tutto costruito così, come un sottile gioco di specchi, un'abile mescolanza di verità e forzature. Il suo fine dichiarato è quello di analizzare i vari stili della retorica oratoria, le tecniche di persuasione usate da alcuni aspiranti dittatori per sostenere il loro potere: ma questo vale soprattutto per l'ultimo dei suoi monologhi, mentre gli altri sembrano scavare piuttosto nella sensibilità di coloro che da quel potere si lasciano manipolare, portandone allo scoperto debolezze e contraddizioni.
Siamo in un Paese imprecisato, dove piove sempre ed è in corso una guerra civile. Nel caotico bric a brac della scena nuda – luci, strumenti acustici, travi di legno – a prendere la parola sono gli abitanti di un ipotetico condominio, un po' simile a quello evocato da Celestini in Live. Appunti per un film sulla lotta di classe. Qui, però, la lotta di classe è dimenticata, sepolta: c'è solo una serie di individui che, nel chiuso delle loro stanze, pensano ciò che pensano molti, ma danno seguito ai propri pensieri con azioni infami o fantasie riprovevoli. C'è un uomo che aspira a essere "invisibile" agli altri, e passa con l'auto sul corpo di un altro "invisibile" come lui, un nero che vende accendini per strada. Ci sono un uomo con l'ombrello e uno senza ombrello, e l'uomo con l'ombrello vuole un fucile per difenderne il possesso. C'è un uomo che ha una pistola in tasca, e si sente rassicurato dal fatto di considerare bersagli tutti quelli che non lo rispettano. Tra un brano e l'altro si sentono le voci registrate del portinaio e di una signora che pretende la rimozione di un cadavere.
Questi soliloqui acri, surreali, che per la qualità della scrittura mi sono parsi le parti migliori dello spettacolo, culminano in quella sorta di comizio dove un "padrone" sfoggia un repertorio di argomenti populisti – compresi gli antichi dettami del marxismo – per indottrinare le masse: è impressionante il consenso che raccoglie vagheggiando che Gramsci, se fosse oggi presidente del Consiglio, nominerebbe un precario ministro del Lavoro e un bagnino di Rimini ministro del Turismo. L'attore-autore romano attinge con lucida ambiguità ai sentimenti inconfessabili, alle tentazioni qualunquiste di un'ampia fascia di pubblico. Prende applausi da destra facendo quello di sinistra che parla come uno di destra, prende applausi da sinistra facendo quello di destra che parla come uno di sinistra, prende applausi dai grillini parlando come uno che non è né di destra né di sinistra. Dimostra una straordinaria capacità mimetica, un talento mostruoso nell'assorbire umori del momento. Ma, francamente, sotto questo stratificarsi di maschere ideologiche si stenta a capire cosa davvero voglia dirci.
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Discorsi alla Nazione, di e con Ascanio Celestini, Milano, Teatro Grassi; oggi ultima replica

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