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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2013 alle ore 08:36.

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Esistono intere regioni della Cina dove nei campi i braccianti spennellano i fiori. Li si vede in Un mondo in pericolo, documentario che chiuderà il festival CinemAmbiente di Torino il 5 giugno. Non è un rito per solleticare la bella stagione: sono costretti a farlo perché in quei luoghi le api sono tutte morte. Mao – spiega il regista Markus Imhoof – ordinò di sterminare i passeri: si sbafavano i cereali destinati al popolo. Senza di loro però i parassiti aumentarono. La risposta fu un diluvio di pesticidi che avvelenò le api. Per fecondare le piante da frutto ai contadini non resta che acquistare preziose bustine di polline estratto a mano da boccioli lontani. Lo depongono con cura su un pennellino e strofinano uno ad uno i pistilli della piantagione.
Dall'altra parte del globo, negli Stati Uniti, a fecondare le monocolture a perdita d'occhio ci pensano apicoltori vagabondi che inseguono l'incedere della primavera, partendo dalla California, dove per primi sbocciano i mandorli, per risalire fino al nord Dakota via via che la stagione avanza. Se i fiori sfioriscono tutti insieme – come accade quando non si coltiva che una varietà – le api muoiono. E allora prima che sia troppo tardi bisogna caricarle sul camion e fuggire l'estate. Ma questo non basta più: in tutta Europa, Nord America e Cina non c'è un'ape da miele che riesca a sopravvivere senza medicine. Nel 2006 negli Usa si accorsero che gli alveari si stavano spopolando. Il fenomeno – ancora non pienamente compreso – travolse l'Asia e il nostro continente. Pesticidi, parassiti, antibiotici, endogamia e stress minacciano la vita di questi insetti superbi, che l'uomo ha trasformato in animali domestici malaticci. Senza di loro un terzo di tutto ciò di cui ci nutriamo non ci sarebbe.
«Le piante colorate e profumate vengono impollinate dagli insetti, quelle poco appariscenti e aride dal vento», spiegava con perfetta sintesi il nonno a uno degli apicoltori protagonisti di questo documentario che ha immagini molto belle e un testo piacevole e interessante, anche se non sempre chiaro. E di amore per le api parla anche Api di città, di Alessandro Rocca e Davide Demichelis: è il racconto di una nuova moda, quella di arnie gestite dagli abitanti di città come Tokyo, Parigi, New York, Londra e Torino.
Parte da un'idea divertente The fruit hunters, i cacciatori di frutta, documentario con cui il 31 maggio si aprirà il festival torinese che negli anni passati ha saputo portare in Italia film di grande interesse e bellezza. È la storia di alcuni appassionati che perlustrano il mondo alla ricerca di varietà di frutta perdute. Scopriamo così che in Umbria c'è "un'archeologa arborea": Isabella Della Ragione setaccia orti, chiostri, terre abbandonate e persino antichi dipinti a caccia di specie in via d'estinzione. E che anche Bill Pullman, volto di Balle spaziali (1987) e Strade perdute (1997), ha questo pallino (sarà a Torino a presentare il film). Peccato che il film sia lento, che si cerchino più le frasi a effetto che l'approfondimento scientifico (quasi assente) e che il tono della narrazione sia un po' grossolano, già dalle prime belle immagini dove, calcando troppo la mano nel sottolineare l'indiscussa sensualità della frutta, il regista sfocia nel ridicolo.
È possibile che l'invenzione del low cost ci abbia reso tutti più poveri? È interessantissimo il soggetto di Nos vies discount, di Frédéric Brunnquell. Un road movie che parte dall'Irlanda di Ryanair per arrivare alla Germania che inventò gli hard discount e mostrare come questo tipo di business stia distruggendo il nostro modello sociale, impoverendo i lavoratori e nutrendosi della crisi. Abbuffandoci senza necessità di voli, cibo e oggetti che costano meno perché gli impiegati sono pagati una miseria e confrontati a eserciti di lavoratori autonomi pronti a accettare condizioni di lavoro al ribasso e senza tutele stiamo prosciugando lo stato sociale e ci stiamo esponendo agli stessi rischi che corrono i lavoratori di questa industria, sostiene il regista. Le sue interviste rivelano una realtà spaventosa, ma non riescono a spiegare il fenomeno che a grandi linee e mancano informazioni quantitative. Speriamo in una seconda puntata.
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