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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2013 alle ore 08:40.

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Sembrava che i revival del repertorio ballettistico avessero interrotto la loro corsa negli anni Ottanta. Invece, con il britannico Matthew Bourne il tempo è ritornato indietro, a partire da quel suo topico Lago dei cigni maschio o gay, replicato per decenni, anche senza Adam Cooper, il campione di sex-appeal per il quale era stato allestito. Ma ormai, lo abbiamo notato a Ravenna Festival, ospite di Sleeping Beauty, l'ultimo dei revival di Bourne, il pubblico, plaudente e soddisfatto, non fa più caso all'avvenenza degli interpreti: ne apprezza semmai l'espressività.
Prendiamo l'Aurora di questa Bella addormentata: non ne ricorderemo il nome, la silhouette, ma il brio e l'energia. Quest'interprete assieme al suo massiccio principe, - qui un giardiniere -, è parte di un meccanismo più teatrale che non coreografico. Tra effetti colorati, rapidi cambi d'ambiente, una miriade di costumi e di strizzate d'occhio al cinema, al musical, e ai serial tivù, galleggiamo in un melting- pot senza misteri: didascalie preannunciano ogni avvenimento sul sipario riprodotto di San Pietroburgo, alzatosi il 15 gennaio 1890 sulla Bella originale. Il primo capitolo della story, anzi del gotic romance, di Bourne tiene conto della data del capolavoro ?aikovskiano ma per far nascere, con un abile gioco di ombre, la piccola Aurora dalla cattiva fata Carabosse! E infatti la piccolina, una pupattola meccanica guidata da bacchette e uomini in nero, come nel teatro orientale, farà di tutto per rivelare la sua natura turbolenta e ribelle e per sconvolgere il suo papà, che tanto somiglia allo zar Nicola II e la sua mamma: zarina sottile quanto vibratile.
L'arrivo delle fate buone in una notte di luna tanto piena da coprire metà del fondale, placherà la piccola con graditissimi doni. Peccato che quello dell'infuriata Carabosse, offesa per non essere stata ringraziata dai regali genitori sterili, sia una rosa nera e la maledizione di una morte che si vede. Aurora, maggiorenne, decede con il volto coperto da una maschera neutra come quella del suo principe-giardiniere (ancora teatro orientale). L'arrivo della Fata dei Lillà (un uomo) muta la profezia in quel lungo sonno, destinato, secondo Bruno Bettelheim, a preparare ogni adolescente in preda a tempeste ormonali, in amante consapevole. Dove stanno fino ad ora le novità?
Nelle date prescelte dallo story-teller Bourne: il 1911 per inscenare un radioso party cechoviano in cui Aurora interpreta con il suo amante-giardiniere un Adagio della rosa a ritmi serrati, dalla bella verve moderna e a piedi nudi. Ma incontrerà anche, tra nobili e intellettuali col binocolo che le fanno una corte garbata, il figlio di Carabosse, patinato bellone, cui tocca l'onere e l'onore di vendicare la madre nel frattempo deceduta. A un intervallo, della durata di cento anni, dicono sempre le didascalie in perfetto british humour, segue il 2011. Aurora punta dalla rosa nera del figlio di Carabosse giace ormai racchiusa nel bosco; il suo giardiniere sbuca da una tendina canadese con ali bianche (è passato un secolo e lui è diventato un angioletto), mentre un paio di turisti fanno foto al giardino di una leggenda chissà se vera.
Siamo ormai nel secondo atto, quello in cui, di solito, al Fata dei Lillà svela al principe il volto dell'amata. Ma il giardiniere quel volto lo conosce già, perciò corre come un matto tra giovani in culottes bianche, sostitutivi delle driadi originali, che fanno zig zag - la coreografia è ridotta a questo - tra busti di betulle senza fronde. Nella sua corsa in scarpe da tennis, il giardiniere non è solo; anche il figlio di Carabosse cerca Aurora; la trova per primo, la bacia, ma lei non si risveglia, per questo ci vuole il vero amore. Nasce da qui un sabba satanico sostitutivo del divertissement del terzo atto, tutto luci rosse e glamour.
Nell'happy end - e siamo dice Bourne a «Ieri»- la Fata dei Lillà conduce il giardiniere nel milieu del male. Tutto, però, si risolve come deve, salvo che i due amanti diventano sposi in un gran letto e sotto una coperta nera. Ricompariranno con un'altra piccola Aurora meccanica, e volante. Ma forse la loro piccina non sarà turbolenta come la madre, visto che il suo babbo ha le alucce bianche da angioletto. Fine di una storia che proprio perché si può raccontare con tanta dovizia di particolari, non attiene all'ambito della danza. Però Sleeping Beauty è assai più riuscita di Cinderella, e forse dello Schiaccianoci: chiude per Bourne la trilogia ?ajkovskiana iniziata col Lago, e mantiene qualche geniale guizzo coreutico nel rifare il verso - e i gesti - dall'originale di Marius Petipa delle variazioni delle fate buone.
Per il resto lo spettacolo è godibile, tiene un ritmo da musical; sbriciola qua e là ?ajkovskij ma è danzato benissimo, e nella sua modestia comunicativa parte, almeno, da un assioma azzeccato. Cioè dalla constatazione che oggi allestire una Bella di tradizione come si deve è impresa difficile, con tutti quei danzatori russi che cambiano coreografie e passi, con quella mancanza di sublime perfezione necessaria al balletto classico. Sleeping Beauty di Bourne sarà pop, ed english rose come il fard della regina, pure un po' kitsch come le sue borsette, ma è intrattenimento puro e avrà lunga vita.
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Spleeping Beauty, Matthew Bourne, The New Adventures in Motion Pictures, Teatro Alighieri, Ravenna Festival ancora oggi; poi Mosca, e sino a fine dicembre una lunga tournée in America.

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